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L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi Nel nostro secolo, la lotta antiparassitaria, consistente nell’ eliminazione dalle piante coltivate di parassiti animali e vegetali che riducono la produttività dei terreni e la qualità dei raccolti agricoli, ha raggiunto un grado di evoluzione tecnica elevatissima.
La sintesi e produzione di nuovi principi attivi, la messa a punto di una serie di sistemi di monitoraggio dei parassiti animali e vegetali, l’innovazione delle macchine per la distribuzione dei fi tofarmaci consentono la realizzazione di adeguati interventi. (Vieri L., 1994) La risoluzione dei problemi di carattere agronomico si è avvalsa anche dello studio del comportamento ambientale di un particolare gruppo di pesticidi, gli erbicidi.
In Italia, in ragione delle articolate direttive europee, sono sorti gruppi di sperimentazione, nelle Università e nei Centri di ricerca, (Vicari A.,1995; Del Re A.M.,1995) per elaborare nuovi metodi produttivi, agricoli e forestali, compatibili con l’ambiente e ancor di più, per trovare un ‘codice di comportamento’ in agricoltura che consenta di abbattere l’uso degli erbicidi, riscontrati nei campioni di acque potabili, in concentrazioni ben superiori ai limiti di legge (Leandri A.,1995).
L’applicazione di un pesticida sul bersaglio può avere diverse destinazioni: dirette (aria, piante, terreno, acqua) e indirette (fauna terrestre, fauna acquatica, uomo) (Vicari A., 1995).
1.1. Volatilizzazione e derivaL’aria è soltanto un mezzo di trasporto di cui il pesticida ha bisogno per raggiungere il suo bersaglio. I tempi di contatto con questo mezzo sono solitamente brevi, ma il passaggio nell’atmosfera rappresenta sempre un aspetto negativo nella distribuzione dei pesticidi in quanto entrano in gioco i fattori di stabilità all’aria e alla luce dei composti utilizzati, di temperatura (volatilizzazione) e di movimenti dell’aria (deriva).
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi La volatilizzazione è la trasformazione del pesticida nella forma di vapore, per sublimazione ed evaporazione. Questo fenomeno, che dipende dalla natura chimica del composto e dalla temperatura dell’ambiente, genera dispersione del prodotto. Ad esso si può porre rimedio incorporando, più o meno immediatamente, diserbanti nel terreno, o effettuando trattamenti nelle ore meno calde della giornata (Vicari A., 1995; Vercesi B., 1995 ).
La deriva è il trasporto fi sico del pesticida in un punto lontano da quello della sua applicazione. Ne sono causa il vento, durante la distribuzione del prodotto, e i trattamenti ai margini di appezzamenti (deriva trasversale) o alle testate del campo (deriva longitudinale) (Leandri A., 1995).
1.2. Assorbimento delle pianteLe piante costituiscono il bersaglio primario dei trattamenti; solitamente l’assorbimento del diserbante può essere consistente.
Infatti, nelle applicazioni su vegetazione ben sviluppata, può essere assorbita fi no al 50% della dose di prodotto impiegata. Al contrario, nelle applicazioni al suolo, ciò dipende dalla natura del terreno e dal suo potere di assorbimento.
Nelle piante infestanti intervengono processi di metabolizzazione che degradano l’erbicida a prodotti elementari non tossici. Per quanto riguarda le piante coltivate si può avere una situazione differente, il pesticida non metabolizzato può rimanere come residuo e passare con la raccolta nei prodotti destinati all’alimentazione umana (Vercesi B., 1995).
1.3. Permanenza nel terrenoSul terreno, oggetto diretto o indiretto del trattamento, confl uisce la parte più consistente del pesticida applicato. Qui i pesticidi seguono strade differenti a seconda delle varie interazioni che si instaurano tra pesticida, terreno, piante e fattori climatici.
Una volta giunto nel terreno, il diserbante può essere metabolizzato o trasportato, il che ne determina la persistenza.
Tutti i pesticidi, in tempi più o meno lunghi, vengono metabolizzati e tramite processi degradativi le molecole vengono ridotte a composti semplici quali acqua, anidride carbonica e sali organici.
I meccanismi di degradazione possono essere di tipo biologico (microrganismi presenti nel terreno), fotochimico (ossidazioni dovute dalle radiazioni solari) e chimico (reazioni d’idrolisi in terreno, acqua e piante ).
Il parametro per esprimere la velocità di degradazione è il tempo di dimezzamento (chiamato anche emivita o periodo di semitrasformazione) che indica il tempo necessario per ridurre del 50% la quantità di erbicida immessa in un dato ambiente.
I fattori che infl uenzano tale parametro sono, ad esempio, le proprietà chimico-fi siche della sostanza (polarità, ionizzazione, formula commerciale) quantità di microrganismi presenti nel terreno, grado di umidità e temperatura del terreno. (Vercesi B., 1995).
La determinazione della carica residua dei pesticidi nel terreno o dei loro prodotti di metabolizzazione può essere condotta con analisi chimiche e/o biologiche; con le prime è possibile effettuare una valutazione quantitativa del prodotto mentre i test biologici, oltre all’aspetto quantitativo, forniscono elementi inerenti gli effetti dei pesticidi sull’ambiente, come ad esempio la presenza o la quantità di una sostanza in un substrato in base alla risposta di organismi viventi sensibili al pesticida da analizzare.
Gli effetti negativi della persistenza dei pesticidi nei terreni si possono esprimere in termini di “ecotossicologia”. Durante e dopo l’applicazione dei vari prodotti essi possono venire in contatto con organismi diversi da quelli ‘bersaglio’ e quindi interferire in modo più o meno marcato sulla loro vita. Spesso si sono verifi cati avvelenamenti causati indirettamente dall’applicazione di sostanze che aumenterebbero l’appetibilità di piante tossiche che generalmente non sono consumati dagli animali.
Per quanto riguarda gli animali selvatici, si sono verifi cati effetti gravi nell’ambito della schiusura delle uova in alcune classi di uccelli, quali fagiani e pernici: infatti alcune sostanze impedirebbero la schiusura o quanto meno causerebbero la nascita di pulcini malformati .
Tutti gli studiosi sono comunque concordi nel ritenere che il problema principale dell’uso dei diserbanti, per quanto riguarda la vita degli animali selvatici, non è tanto di natura tossicologica quanto ecologica; l’uso sistematico dei diserbanti potrebbe portare a un radicale cambiamento dell’ambiente naturale, sia per la riduzione della fl ora e delle piante fornitrici di cibo, che per l’eliminazione dei rifugi.
Un altro effetto peculiare nella valutazione della ecotossicità dei prodotti è quello sui microrganismi del terreno. Una loro alterazione negativa, in termini di modifi cazione dei processi di respirazione e del ciclo dell’azoto, potrebbe infatti costituire motivo di abbandono degli stessi prodotti ancora nella fase di messa a punto.
La valutazione sull’attività della microfl ora è ovviamente fondamentale per i pesticidi a carica residuale per i quali il contatto con il terreno è di lunga durata.
1.4. Residui di pesticidi nell’acquaAnche l’acqua, come il terreno, può essere oggetto diretto o indiretto del trattamento. Nel primo caso non sono normalmente da temere effetti negativi sull’ambiente in senso lato in quanto, nei casi specifi ci, i diserbanti vengono impiegati a ragion veduta.
Come oggetto indiretto, invece, i rifl essi sono quasi sempre negativi in quanto si originano al di fuori di eventi controllabili e si confi gurano come fenomeni di contaminazione sia di corpi idrici superfi ciali che di quelli profondi.
Anche in questo caso il tasso di contaminazione dipende dalla stabilità dei composti in acqua, dalla sensibilità alla luce e dalla costante di dissociazione ai diversi pH.
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi Le direttive europee impongono che nessun pesticida sia presente nelle acque potabili in concentrazioni superiori a 0.1 ppm per componente singolo o 0.5 ppm come somma di più componenti.
Tuttavia questa strategia, insieme a molte altre formulate per la protezione delle acque profonde, trascura completamente la tossicità del prodotto.
La presenza di frazioni infi nitesimali di pesticidi nelle acque non signifi ca necessariamente che esse siano dannose alla salute. Per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) ha ritenuto opportuno fornire caso per caso valori soglia diversi da quelli fi ssati dalla normativa europea in maniera da rendere possibile l’utilizzo, per il consumo umano, di acque altrimenti non valorizzabili (Vercesi B., 1995; Shahamat U.K., 1987).
2. Classifi cazione tossicologica dei pesticidi Una sostanza viene defi nita tossica quando, introdotta nell’organismo per una qualsiasi via (orale, respiratoria, dermale) è in grado di determinare alterazioni più o meno gravi alle funzioni vitali dell’organismo stesso e portare in alcuni casi alla morte.
La tossicità di un sostanza può essere di due tipi acuta e cronica; la prima viene valutata attraverso test defi niti ‘a breve termine’, che analizzano per l’uomo e per gli altri organismi viventi fattori quali: a) l’esposizione per via oraleb) l’esposizione per via dermalec) l’esposizione per via inalatoriad) la tossicità intraperitoneale e per endovenaIn generale, la tossicità acuta orale è utilizzata come riferimento primario per la classifi cazione dei pesticidi nella legislazione europea .
La tossicità acuta orale si esprime con la quantità di una data sostanza che, somministrata in una sola volta ad un gruppo di animali (solitamente ratti da laboratorio) ne determina la morte nel 50% dei casi. Viene indicata con la sigla DL50 (dose letale) ed espressa in ppm o mg/kg di peso corporeo.
Per la tossicità cronica si considera, invece, la soglia di tale tossicità ovvero la quantità massima giornaliera di sostanza che un animale o un individuo può ingerire con gli alimenti per un lungo periodo di tempo, senza accusare nessun effetto negativo.
Per i pesticidi, inoltre, si considerano anche i test di genotossicità (capacità di una sostanza di provocare effetti biologici quali mutazioni genetiche, aberrazioni cromosomiche, danni al DNA), test di teratogenesi (effetti sullo sviluppo embrionale) e test di cancerogenesi e ecotossicità (tossicità verso organismi acquatici, insetti, animali selvatici).
Il regolamento del 3-08-68 n. 1255, attualmente ancora in vigore, divide i pesticidi, in base alla tossicità acuta per l’uomo e per gli animali in 4 classi; tale classifi cazione avviene in base alla DL50 ottenuta per via orale relativa ai ratti.
Tuttavia tale regolamento, pur mantenendo tuttora una sua validità normativa per la classifi cazione dei presidi sanitari di III e IV classe tossicologica è stata modifi cato dal D.P.R. n. 223 del 24-05-98, in attuazione della direttiva CE n. 78/631 e di altre, che hanno dettato le norme generali sulla classifi cazione, sull’imballaggio e sull’etichettatura dei presidi fi tosanitari pericolosi, applicandole in sostanza ai prodotti di I e II classe.
Il Ministero della Sanità, con D.M. n. 258 del 2 agosto 1990, ha imposto ai produttori di antiparassitari di adeguarsi alla nuova normativa sottoponendo all’approvazione dell’Autorità la riclassifi cazione di tutti i prodotti registrati. Per le suddette norme, i presidi sanitari sono classifi cati in base alla tossicità effettiva del formulato commerciale espressa dal valore più critico della DL50 acuta per via orale e dermale nel ratto.
Per determinati prodotti, come formulati gassosi o i preparati in polveri molto raffi nate (diametro delle particelle inferiore a 50 micron), occorre valutare anche la tossicità per via inalatoria (CL50 espressa in mg per litro d’aria).
Inoltre i presidi delle 4 classi tossicologiche risultati corrosivi, irritanti, infi ammabili, sensibilizzanti devono riportare sull’etichetta le frasi indicative di tali rischi ed i relativi simboli.
L’attribuzione della classe tossicologica viene effettuata sulla base dei CLASSE 1: comprende i composti ‘molto tossici’ e ‘tossici’ che rientrano nei seguenti valori di riferimento della DL50: PREPARATI SOLIDI (POLVERI SECCHE, GRANULARI) L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi CLASSE II: è la categoria che presenta la più alta frequenza di presidi sanitari (nocivi), ma con relativamente pochi diserbanti, e comprende i prodotti nocivi che rientrano nei seguenti valori di DL50: CLASSE III: comprende prodotti meno pericolosi rispetto alle prime due classi che hanno una DL50> 500 mg/kg, senza alcune differenziazione dei valori in rapporto alla tipologia di formulazione e che, comunque sia, sono esclusi dalla classifi cazione secondo i criteri sopra esposti.
CLASSE IV: comprende prodotti che comportano solo rischi trascurabili per l’uomo, per cui la loro manipolazione ed impiego richiedono soltanto una certa attenzione. Qualora però il formulato presentasse un sia pur minimo pericolo l’etichetta deve riportare chiaramente l’indicazione e, se esiste, il simbolo.
Questa classe tossicologica contiene pochi prodotti registrati e tende ad essere sempre meno applicata nella classifi cazione di prodotti di nuova introduzione per la mancanza di presupposti oggettivi per ricorrere a tale classifi cazione, visto che il progresso delle metodologie e dei protocolli sperimentali riescono a mettere in chiara evidenza anche effetti minori che prima erano impercettibili o giudicati trascurabili.
In accordo con le linee guida della Commissione Europea per l’Ambiente e con alcuni studiosi che negli anni si sono occupati del problema, (Jimènez-Beltràn D., 1997) il tentativo di caratterizzazione delle sostanze tossiche, dei pesticidi in particolare, è stato condotto secondo il criterio della pericolosità delle diverse sostanze in base al valore della DL50 (dose letale per il 50% delle cavie da laboratorio) orale.
Come sostanza di riferimento in base alla quale esprimere la tossicità potenziale equivalente di ogni prodotto chimico utilizzato, in genere nelle pratiche agricole, è stata considerata un’ipotetica sostanza con DL50 orale pari a 50 o 200 mg/kg (limite superiore di una sostanza classifi cata come tossica), a seconda, rispettivamente, che si tratti di un composto in forma liquida o solida e con una DL50 dermale pari a 100 mg/kg, in forma liquida o solida.
La scelta è stata dettata dal fatto di voler porre in evidenza il problema dell’uso dei pesticidi nella produzione di Biomassa, specialmente per quanto riguarda il possibile inquinamento delle acque.
Il calcolo del fattore di conversione, che per semplicità chiameremo TE (Toxical Effect) si ottiene con una semplice proporzione tra la DL50 sopra specifi cata e la DL50 della sostanza in questione: TE = 50/DL50 (sostanza ‘x’ in forma liquida)per poi ottenere l’effetto tossicologico totale moltiplicando i singoli fattori per le quantità di prodotto immesse nei diversi comparti ambientali e sommando i risultati.
3. Specifi cità d’azione dei pesticidi interessati I pesticidi, chiamati anche fi tofarmaci, sono sostanze utilizzate, come già detto, nella lotta antiparassitaria, aiutano a garantire la produzione agricola impedendo che le coltivazioni agricole vengano attaccate da vari agenti infestanti.
Alcune delle principali categorie di pesticidi, classifi cate in base agli organismi nocivi a cui sono destinate, sono gli erbicidi o diserbanti utilizzati contro piante infestanti le colture agricole, gli insetticidi, gli acaricidi, topicidi, fungicidi. Sono quasi sempre sintetizzati artifi cialmente, oppure elaborati a partire da sostanze naturali di natura organica come la nicotina e il piretro.
Gli erbicidi possono essere selettivi o meno a seconda che uccidano indistintamente tutte le specie vegetali su cui vengono sparsi o soltanto alcune varietà specifi che. Tra gli erbicidi più diffusi quelli di natura organica sono a base di composti quali solfati di rame, clorati e arsenicati di sodio; tra quelli di origine organica, ad esempio, il dinitrobutifenolo e il dinitrocresolo.
Alcuni erbicidi devono essere applicati sulla parte aerea della pianta, altri agiscono dal terreno penetrando in tessuti vegetali attraverso la radice. La maggior parte dei diserbanti di recente sintesi viene irrorata durante lo sviluppo delle piante e interferisce con la loro crescita senza danneggiare le colture agricole.
I diserbanti ‘totali’o non selettivi come il paraquat e il glufosinate sono utilizzabili solo prima che spuntino le piantine seminate. Inoltre alcuni nuovi diserbanti richiedono l’aggiunta di prodotti chimici che potenzino le difese naturali della pianta contro i principi attivi che determinano l’eliminazione delle erbacce.
Gli insetticidi costituiscono la porzione minore del mercato mondiale dei pesticidi (circa il 28% del totale). Caratteristica comune di questa categoria è l’alta solubilità nei lipidi, espressa come coeffi ciente di ripartizione n-ottanolo/acqua. Inoltre sono molto persistenti nell’ambiente per svariati fattori quali temperatura, intensità luminosa, pH e percentuale di umidità. Sono i più discussi, a causa degli effetti causati all’ambiente dai primi L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi composti clororganici utilizzati, che nella maggior parte dei paesi sono oggi proibiti o sottoposti a severe forme di controllo.
Uno dei più noti, ormai quasi totalmente in disuso, è il DDT (diclorodife- niltricloroetano), ampiamente utilizzato negli anni ’40 e ’50 contro svariati insetti patogeni e dannosi, e poi abbandonato a causa dei gravissimi danni ecologici cau-sati ( Klaassen C.D., 1992). Questo composto, infatti, assorbito dagli insetti a cui è destinato, contamina anche gli animali che si nutrono di insetti, e risale via via tutti i livelli trofi ci della rete alimentare, danneggiando numerose specie animali.
Altri pesticidi si comportano diversamente: ad esempio, quelli del gruppo degli esteri fosforici (Parathion e Malathion) si decompongono dopo un certo intervallo di tempo, impedendo che la loro tossicità si trasmetta a organismi diversi da quelli a cui erano destinati. Lo svantaggio di questo tipo di composti è che, prima che si decompongano, sono altamente tossici, non solo per gli insetti, ma anche per l’uomo. Attualmente, gli strumenti più promettenti nella lotta antiparassitaria mirata agli insetti sono le nuove generazioni di biopesticidi.
I fungicidi contaminano soprattutto colture come i cereali e le viti e, ad esempio, il fungo Erisyphe graminis, causa del mal bianco, è uno dei funghi patogeni più dannosi e più combattuti, soprattutto in Europa. Il brusone (Pyricularia oryzae) e la ruggine del riso (Pellicularia sasakii), invece, sono le principali malattie fungine che colpiscono il riso. In molti casi i funghi sviluppano una resistenza agli agenti fungicidi, per cui è necessaria l’applicazione combinata di differenti agenti antiparassitari.
4. Effetti tossicologici sull’uomo I pesticidi, oggetto della nostra ricerca, possono essere classifi cati in due grosse categorie: organofosforati e clorurati/piretroidi: Chlordane (somma di cis, trans e oxychlordane) Insetticida Heptachlor e Heptachlor epossido (somma) Insetticida L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi 4.1. Pesticidi organofosforatiI pesticidi organofosforati hanno come caratteristica peculiare comune quella di essere inibitori della acetilcolinesterasi, enzima coinvolto nell’interazione dell’ acetilcolina con i recettori muscarinici e nicotinici a livello post sinaptico.
L’acetilcolina (Ach) si forma, a livello pre-sinaptico della terminazione nervosa, dalla reazione tra colina, derivante dai fosfolipidi della dieta, e l’Acetil CoA, che proviene dal metabolismo intermedio (mitocondrio).
Dopo la sintesi, l’Ach si deposita in vescicole insieme a proteine e ATP; il calcio, presente anch’esso a livello presinaptico, favorisce l’esocitosi della vescicola che libera il neurotrasmettitore, ATP, proteine nello spazio sinaptico.
L’acetilcolina interagisce con i recettori post-sinaptici nicotinici e musca- rinici scatenando una serie di eventi biochimici che porta alla fi ne alla risposta funzionale.
L’ultimo passaggio è catalizzato dalla acetilcolinesterasi, enzima che idrolizza rapidamente l’acetilcolina, dopo il legame con i recettori, a colina e acetato; è un enzima molto effi ciente capace di idrolizzare subito fi no a circa 14.000 molecole per secondo, in condizioni di saturazione, in modo tale che il neurotrasmettitore rimanga a contatto con i recettori per tempi brevi.
I pesticidi organofosforati, detti anticolinesteratici (anti-ChE), inibendo l’idrolisi dell’Ach a livello post-sinaptico, la fanno accumulare nei siti recettoriali colinergici e perciò sono potenzialmente capaci di produrre effetti equivalenti a una stimolazione eccessiva dei recettori colinergici in tutti i distretti del sistema nervoso centrale e periferico.
La loro estrema tossicità è dovuta alla loro capacità di determinare l’inattivazione ‘irreversibile’, mediante legami covalenti, dell’AchE, ottenendo così un’attività inibitoria di lunga durata.
In generale, per prevedere le proprietà farmacologiche degli anti-ChE, basta conoscere le sedi in cui l’ACh viene liberata fi siologicamente dagli impulsi nervosi, il grado di attività degli impulsi nervosi e le risposte all’ACh dei corrispondenti organi effettori. Però, sebbene ciò sia corretto in linea di massima, le differenti localizzazioni delle sinapsi colinergiche possono aumentare la complessità della risposta. Potenzialmente, gli agenti anti-ChE sono in grado di produrre tutti i seguenti effetti: 1) stimolazione della risposta dei recettori muscarinici negli organi effettori 2) stimolazione, seguita da depressione o paralisi, di tutti i gangli autonomi e dei muscoli scheletrici (azioni nicotiniche).
3) stimolazione, seguita talvolta da depressione, dei siti recettoriali colinergici Ad esempio, composti come il Parathion diventano più tossici quando si distribuiscono sistematicamente, in quanto si convertono nella loro forma attiva, il Paraxon.
In generale, i composti contenenti un gruppo amminico quaternario non penetrano facilmente attraverso le membrane cellulari e quindi gli agenti anti-ChE appartenenti a tale categoria vengono assorbititi scarsamente attraverso il tratto gastrointestinale e, a dosi basse, non possono esercitare un’apprezzabile azione sul SNC non potendo superare la barriere ematoencefalica.
D’altra parte, tali composti agiscono in modo relativamente selettivo a livello delle giunzioni neuromusculari della muscolatura scheletrica, esercitando la loro azione sia come agenti anti-ChE sia come agonisti diretti. Il loro effetto sui siti effettori autonomi è relativamente minore e le loro azioni sui gangli hanno generalmente un’intensità intermedia.
Per contro, gli agenti anti-ChE più liposolubili vengono assorbiti bene per via orale ed esercitano effetti ubiquitari sui siti recettoriali colinergici sia periferici che centrali.
Le azioni degli anti-ChE sulle cellule effettrici autonome e sui siti corticali e subcorticali del SNC, in cui i recettori sono in gran parte muscarinici, vengono bloccate dall’atropina; analogamente l’atropina blocca alcune azioni eccitatorie degli anti-ChE sui gangli autonomi, poiché nella neorotrasmissione gangliare è implicata sia la stimolazione dei recettori muscarinici che dei recettori nicotinici.
Gli effetti dell’intossicazione acuta da anticolinesterasici si manifestano con segni e sintomi muscarinici e nicotinici e, fatta eccezione per i composti con liposolubilità estremamente bassa, con segni riferibili al SNC.
Gli effetti locali sono dovuti all’azione di vapori o aerosol nella sede del contatto con gli occhi o con il tratto respiratorio o all’assorbimento locale di sostanze liquidi che hanno contaminato la cute o le mucose, comprese quelle del tratto gastrointestinale. Gli effetti sistemici si presentano entro alcuni minuti dall’inalazione di vapori e aerosol; per contro dopo l’assorbimento gastrointestinale e percutaneo, l’insorgenza dei sintomi è ritardata.
La durata degli effetti è determinata in gran parte dalle proprietà del composto: liposolubilità, dal fatto che debba essere arrivato o meno, dalla stabilità del legame tra il composto organofosforico e l’AchE e dal fatto che sia avvenuto o meno ‘l’invecchiamento’ dell’enzima fosforilato.
Dopo l’esposizione locale a vapori o aerosol o dopo la loro inalazione, generalmente insorgono dapprima effetti oculari e respiratori: un esempio è rappresentato dal pesticida organofosforato Chlorpyrifos, insetticida ad ampio spettro utilizzato per combattere un gran varietà di insetti come mosche, pidocchi, formiche del fuoco, blatte in coltivazioni di grano, cotone e sulle piante ornamentali.
Il Chlorpyrifos, per quanto riguarda gli effetti muscarinici, determina, a livello respiratorio, tosse, naso sanguinante, fi ato corto, oppressione toracica e sibili respiratori, dovuti alla combinazione di broncocostrizione e aumento della secrezione bronchiale.
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi A livello oculare i sintomi comprendono una notevole miosi, dolore oculare, congestione congiuntivale, calo della vista, spasmo ciliare e dolore sopraciliare.
Dopo ingestione si manifestano assai precocemente sintomi gastrointestinali comprendenti nausea, vomito, crampi addominali, anoressia, spasmi addominali, diarrea. A livello percutaneo, in caso di assorbimento di liquidi si osservano generalmente, come manifestazioni più precoci, eccessiva sudorazione localizzata, e fascicolazione muscolare nelle immediate vicinanze.
L’intossicazione grave da Chlorpyrifos si manifesta con profusa salivazione, defecazione e minzione involtarie, lacrimazione, bradicardia e ipotensione.
Gli effetti nicotinici a livello delle giunzioni neuromuscolari consistono generalmente in affaticamento e debolezza generalizzata, contrazioni involontarie, fascicolazioni localizzate e, alla fi ne, grave debolezza e paralisi; la più grave conseguenza delle azioni neuromuscolari è la paralisi dei muscoli respiratori.
L’avvelenamento grave determinerà, a livello del SNC, un ampio spettro di effetti quali confusione, atassia, diffi coltà nell’articolazione del linguaggio, perdita dei rifl essi, convulsioni generalizzate, coma e paralisi respiratoria centrale. La più grave conseguenza delle azioni neuromuscolari è la paralisi dei muscoli respiratori.
Dopo una singola esposizione acuta da Chlorpyrifos, la morte può insorgere entro un intervallo di tempo che va da 5 minuti a quasi 24 ore, a seconda della dose, della via di assunzione, altri fattori. La causa di morte è primariamente un’insuffi cienza respiratoria accompagnata, generalmente, da una componente cardiovascolare secondaria.
Le azioni muscariniche, nicotiniche e centrali contribuiscono tutte alla dif- fi coltà respiratoria, le cui manifestazioni comprendono laringospasmo, broncoco-strizione, aumento della secrezione tracheobronchiale e salivare, compromissione del controllo del diaframma e dei muscoli intercostali e depressione respiratoria centrale.
Benché la pressione arteriosa possa scendere a livelli preoccupanti e possano intervenire irregolarità cardiache, probabilmente questi effetti possono essere causati tanto dall’ipossiemia quanto dalle azioni specifi che prima menzionate, poiché spesso possono essere fatti regredire dal ristabilimento di un’adeguata ventilazione polmonare.
La diagnosi dell’intossicazione acuta grave da Chlorpyrifos, come anche per la maggior parte dei pesticidi organofosforati, risulta essere facile se si considerano le circostanze dell’esposizione e i segni e i sintomi caratteristici. Nei casi di sospetta intossicazione acuta o cronica più mite, si può generalmente formulare la diagnosi determinando le attività colinesterasiche negli eritrociti e nel plasma. Il trattamento è nello stesso tempo specifi co e molto effi cace e prevede l’utilizzo di Atropina; quest’ultima è un alcaloide presente nell’Atropa Belladonna e in molte altre specie in natura, specialmente nelle Solanacee. È un estere organico che si forma per combinazione di un acido aromatico, l’acido tropico, con una base aromatica complessa, la tropina.
Perché l’atropina eserciti la sua azione antimuscarinica è necessario che l’estere della tropina con l’acido tropico sia integro, poiché né l’azione dell’acido libero ne la base presentano singolarmente un’apprezzabile attività muscarinica.
L’atropina è un antagonista competitivo delle azioni dell’Ach e degli altri agonisti muscarinici, compete con tali agonisti per un comune sito di legame sul recettore muscarinico, antagonizza effi cacemente le azioni esercitate sui recettori, tra cui l’aumento della secrezione tracheobronchiale e salivare, la stimolazione dei gangli periferici e, in misura moderata, le azioni centrali.
Dose più elevate si rendono necessarie per ottenere concentrazioni di atro- pina a livello del SNC. L’atropina è pressoché ineffi cace contro l’attivazione neu-romuscolare periferica e la conseguente paralisi. Quest’ultima azione degli antico-linoesterasici, nonché tutti gli altri effetti periferici, possono essere antagonizzati da altre sostanze come la Pralidossina, un riattivatore di colinesterasi.
Nelle intossicazioni medio-gravi da pesticida organofosforati, la dose di Pralidossina consigliata nell’adulto è di 1-2 grammi infusi per via endovenosa in non meno di 5 minuti. Se la debolezza non si attenua o si ripresenta dopo 20 minuti, la dose può essere ripetuta.
È molto importante che il trattamento sia precoce per assicurare che la Pralidossina raggiunga l’Ache fosforilata quando questa può venire ancora riattivata. Molti degli organofosforati sono estremamente liposolubili (ad esempio l’Ethion e il Diazinon) e, se c’è stata una notevole ripartizione nei tessuti adiposi dell’organismo, l’insorgenza della tossicità può essere ritardata e i sintomi possono ripresentarsi dopo il trattamento iniziale; in alcuni casi, è stato necessario proseguire per parecchie settimane il trattamento con Atropina e Pralidossina.
Talvolta è necessario prendere alcuni provvedimenti generali di sostegno, 1) la cessazione dell’esposizione, mediante l’allontanamento del paziente o l’applicazione di una maschera a gas se l’atmosfera è contaminata, l’allontanamento e la distruzione dei vestiti contaminati, il lavaggio abbondante con acqua della cute o delle mucose contaminate, o la lavanda gastrica.
2) il mantenimento della pervietà delle vie aeree, compreso l’aspirazione 3) la respirazione artifi ciale, se necessario.
4) la somministrazione di ossigeno.
5) il trattamento delle convulsioni persistenti mediante somministrazione di Diazepam (5-10 mg, per via endovenosa) o di Tiopental sodico (soluzione al 2,5%, per via endovenosa).
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi L’Atropina deve essere somministrata in dosi adeguate (di solito molto elevate). Dopo un’iniezione iniziale di 2-4 mg, se possibile per via endovenosa, altrimenti per via intramuscolare, la dose di 2mg deve essere ripetuta ogni 5-10 minuti fi nché non scompaiono i sintomi muscarinici, oppure fi no alla comparsa di segni di tossicità da Atropina. Il primo giorno possono rendersi necessari più di 200mg.
In seguito è consigliabile mantenere un moderato grado di blocco con Atropina anche per 48 ore o fi n quando i sintomi restano evidenti. I riattivatori dell’Ache possono essere molto utili nella terapia delle intossicazioni da agenti anti-ChE, ma il loro impiego deve essere considerato come integrativo della somministrazione di Atropina (Taylor P., 1992).
4.2. Pesticidi cloruratiGli insetticidi clorurati comprendono: i derivati del cloroetano, tra cui il DDT è il più conosciuto; i ciclodieni, che comprendono l’ Aldrin, il Dieldrin, l’Eptaclor, l’Endrin; altri idrocarburi tra cui gli esaclorocicloesani quali il Lindano.
Dalla metà degli anni Quaranta alla metà degli anni Settanta gli insetticidi clorurati sono stati largamente usati sia in agricoltura che in campagne di prevenzione della malaria (Royal society of Chemistry, 1991).
Il DDT (diclorodifeniltricloroetano), il più comune dei derivati del cloroetano, è anche noto sotto il nome di clorofenotano; prima che venissero adottate in molti paesi delle forti restrizioni al suo uso (negli Stati Uniti è proibito per legge dal 1972) il DDT era il più conosciuto, il più economico, e probabilmente uno dei più effi caci fra gli insetticidi sintetici. Per questi motivi, la sua realizzazione, a metà degli anni quaranta, fu subito seguita da un’utilizzazione su larga scala.
Il DDT, disponibile sul mercato in varie forme, ad esempio polveri, concentrati emulsionabili e aerosol, ha una solubilità estremamente bassa in acqua e molto elevata nei grassi: è velocemente assorbito se sciolto in oli, grassi o nei solventi polari, mentre è scarsamente assorbito come sostanza in polvere o in sospensione acquosa.
Una volta assorbito, il DDT si concentra nel tessuto adiposo; l’accumulo nei grassi si traduce in un meccanismo protettivo, perché viene così a diminuire la quantità di sostanza presente nella sede della sua azione tossica, il cervello. Il DDT attraversa la placenta e le sue concentrazioni nel sangue del cordone ombelicale sono dello stesso ordine di grandezza di quelle che si raggiungono nel sangue della madre esposta.
Per la lentezza della sua degradazione nell’ambiente e per l’accumulo nel tessuto adiposo degli animali, viene ad essere l’esempio classico del processo della Bioconcentrazione. Infatti una serie di organismi di una catena alimentare ne accumulano nel loro tessuto adiposo quantità sempre crescenti a ogni successivo livello trofi co.
Alla fi ne, vi sarà una specie in cima alla catena alimentare che risentirà degli effetti sfavorevoli della sostanza. Per esempio alcune popolazioni di uccelli che si nutrono di pesci si è ridotta; questa diminuzione è attribuita all’assottigliamento dei gusci delle loro uova, un effetto ben dimostrato dell’ingestione di DDT e di molti altri insetticidi del gruppo dei derivati clorurati (ad esempio il Lindano o l’Esaclorobenzene).
A causa della sua presenza ubiquitaria, ogni persona che sia nata dopo gli anni Quaranta ha avuto una ininterrotta esposizione al DDT e, di conseguenza, lo ha accumulato nel tessuto adiposo.
Ad un ritmo costante di assunzione, la concentrazione di DDT nel tessuto adiposo raggiunge un valore di stato stazionario e rimane pressoché costante. Una volta cessata l’esposizione, l’eliminazione del DDT dall’organismo si svolge lentamente: una stima della velocità di eliminazione è di circa l’1% al giorno della quantità presente nei depositi dell’organismo.
Prima di essere eliminato il DDT viene dealogenato e ossidato lentamente dalle monossigenasi dipendenti dal citocromo P450; uno dei principali metaboliti escreti, mediante le urine, è il DDA (acido bis[p-clorofenil] acetico).
Il DDT ha un ampio margine di sicurezza e, nonostante sia ancora largamente utilizzato in moltissimi paesi, non vi è, per l’uomo, nessuna segnalazione documentata di morte per avvelenamento da DDT. I pochi casi di decessi di persone che erano incorse in una esposizione massima al DDT sono state probabilmente dovute all’utilizzo di solventi come il Kerosene piuttosto che al pesticida.
I segni e i sintomi dell’avvelenamento da dosi elevate di DDT nell’ uomo comprendono parestesie della lingua, delle labbra e della faccia. A livello del SNC si può osservare una iperesponsinvità agli stimoli, uno stato di apprensione, irritabilità, convulsioni toniche e croniche, tremori.
Il meccanismo d’azione del DDT a livello del SNC non è stato completamente dimostrato, il composto è in grado di alterare il trasporto di Na+ e K+ attraverso le membrane neuronali con un aumento del potenziale negativo, un prolungamento del potenziale d’azione, a scariche ripetitive dopo un singolo stimolo e con ‘treni’ spontanei di potenziali d’azione. Si ritiene, in particolare, che il DDT inibisca l’inattivazione dei canali del Na+ e l’attivazione della conduttanza per il K+ (Narahaschi T., 1979).
In ratti da laboratorio, la somministrazione endovenosa di DDT determina morte per fi brillazione ventricolare; evidentemente il DDT condivide con gli altri derivati clorurati la tendenza a sensibilizzare il miocardio e, mediante la sua azione sul SNC e sulle surreali, può fornire lo stimolo necessario per la fi brillazione ventricolare.
Dosi relativamente basse di DDT inducono il sistema delle ossidasi a funzione mista del reticolo endoplasmatico epatico; l’induzione enzimatica è stata documentata in addetti alla disinfestazione (Kolmodin B.,1969) e in operai di una L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi fabbrica di DDT (Poland A.P. and Smith D.,1970) ed ha come conseguenza un alterato metabolismo di farmaci, di xenobiotici, di ormoni steroidei.
Soggetti volontari che si sono prestati all’ingestione quotidiana di 35 mg di DDT (una quantità circa 1000 volte più elevata dell’ingestione media) sono giunti fi no a 25 mesi di assunzione senza effetti morbosi manifesti; vi è tuttavia il sospetto che l’esposizione a piccole quantità di DDT per lunghi periodi di tempo possa risultare cancerogena (Hayes W., 1963).
L’uso estensivo di DDT nei paesi industrializzati non è risultato in rapporto con un aumento di casi di carcinoma epatico nell’uomo. In uno studio di mortalità su oltre 3800 addetti alla disinfestazione non si è riscontrato un valore signifi cativamente elevato del tasso standardizzato di mortalità, ma si sono notati valori in eccesso delle morti per leucemie, in particolare leucemia mieloide e per tumori del cervello e dei polmoni.
Il DDT fu messo al bando, negli Stati Uniti, nel 1972, per qualsiasi uso salvo quelli essenziali riguardanti l’igiene pubblica e per la difesa delle colture in mancanza di alternative effi caci. Si è arrivati a tale decisione in considerazione del pericolo di uno squilibrio ecologico derivante dall’uso ininterrotto del DDT, con conseguente accumulo nell’organismo, e per l’affermarsi di ceppi resistenti di insetti. Numerosi altri paesi hanno adottato analoghi provvedimenti. Come risultato, si è avuto che il DDT è stato sostituito da altri pesticidi, molti dei quali ancora più tossici per l’uomo (Blair A., 1983).
Un'altra categoria molto importante di pesticidi clorurati è rappresentata dai Ciclodieni clorurati, ad esempio l’Aldrin, il Dieldrin, il Chlordane e l’Hepthaclor.
Questi composti hanno effetti stimolanti sul sistema nervoso e molti dei segni e sintomi dell’avvelenamento sono sovrapponibili a quelli provocati dal DDT.
A differenza del DDT, però, questi composti tendono a produrre convulsioni prima che compaiano altri segni patologici meno gravi.
I soggetti intossicati da insetticidi clorociclodienici accusano nausea, cefalea, vomito, vertigini, scosse cloniche di grado lieve; tuttavia alcuni pazienti vanno incontro a convulsioni senza sintomi premonitori (Hayes W., 1963). A differenza del DDT gli insetticidi clorociclodienici si sono resi responsabili di numerosi decessi per avvelenamento acuto.
Un’altra importante differenza tra DDT e clorociclodienici è che questi possono essere assorbiti dalla cute integra. I ciclodieni non rappresentano un rischio molto maggiore del DDT se ci si riferisce alla popolazione generale esposta alle piccole quantità a cui queste sostanze possono essere presenti negli alimenti, ma la loro manipolazione in soluzioni concentrate può essere pericolosa.
Al pari del DDT, gli insetticidi clorociclodienici sono altamente solubili nei lipidi e si accumulano nel tessuto adiposo; inducono il sistema epatico delle ossidasi a funzione mista e, per questo motivo, ad esempio, nella somministrazione di Chlordane si possono verifi care iterazioni tra l’insetticida ed eventuali droghe mediche somministrate che portano ad un diminuzione dell’effi cacia di sostanze quali anticoagulanti orali, fenilbutazone, clorpromazina, cortisolo ed altri steroidi.
Inoltre si degradano lentamente, persistono nell’ambiente, vanno incontro a bioconcentrazione attraverso la catena alimentare del mondo animale.
Nel topo, ad esempio, gli insetticidi di questo gruppo provocano epatomi in maniera dose-dipendente e, fra gli insetticidi, hanno il rischio più elevato di cancerogenicità. Per queste ragioni, ad esempio, nell’aprile del 1998 negli Stati Uniti tutto l’uso di clordano è stato annullato.
Un altro esempio di derivati clorurati è rappresentato dal Esaclorocicloesano (conosciuto anche come Benzene esacloruro o HCH). È una miscela di otto isomeri e il γ isomero è chiamato anche lindano. Il γ isomero è il più tossico e, in pratica, tutta l’attività insetticida dell’HCH è dovuta al lindano.
L’HCH viene utilizzato come ectoparassita e può dare segni di tossicità che richiamano quelli del DDT: tremori, atassia, convulsioni e prostrazioni. Gli isomeri α e γ hanno effetti stimolanti a livello del SNC, mentre gli isomeri β e δ hanno effetti depressivi; il lindano e l’HCH sono stati ritenuti responsabili di numerosi casi di anemia aplastica, anche se non è stato chiarito perfettamente il nesso tra l’incidenza di anemie aplastiche ed esposizione professionale al pesticida (West I., 1967).
La biotrasformazione degli isomeri del HCH comporta la formazione di clorofenoli che, in confronto al DDT, hanno una persistenza relativamente bassa nell’ambiente.
Tra i funcididi clorurati va ricordato l’Esaclorobenzene (HCB), utilizzato principalmente nel trattamento del frumento. L’esposizione a tale composto in dosi massicce può portare, nell’uomo, ad un aumento del peso del fegato e della quantità di reticolo endoplasmatico liscio e dell’attività delle monossigenasi dipendenti dal citocromo P450 (Carlson G.P.and Tardiff R.G., 1976).
In Turchia, tra il 1955 e il 1959, si sono avuti più di 300 casi, fra cui alcuni mortali, di avvelenamento da HCB, per impiego di grano trattato con il fungicida (Schmid R., 1960). La sindrome più comune era rappresentata da porfi ria cutanea con lesioni della cute, porfi rinuria e fotosensibilizzazione.
L’esaclorobenzene viene eliminato dall’organismo, dopo essere stato metabolizzato in pentaclorofenolo, principalmente attraverso le feci (Rozman I., 1983).
4.3. Piretri e piretroidiUn’altra categoria di pesticidi è quella dei composti di provenienza vegetale, i Piretri. Queste sostanze si ricavano dai fi ori della pianta del piretro Chrysanthenum cincerariaefolium, che vengono raccolti subito dopo la fi oritura e asciugati per essere poi ridotti in polvere o in olii mediante estrazione con solventi. L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi Generalmente sia gli estratti in polvere che gli olii contengono non meno del 30% del principio attivo.
Devono la loro tossicità e la loro attività insetticida a composti strutturalmente simili, di cui quella più attiva dal punto di vista insetticida è la piretrina I. Il piretro e i derivati sintetici della piretrina (piretroidi come il Cypermethrin o il Deltamethrin) sono impiegati in numerose preparazioni insetticide ad uso domestico, in ragione della loro rapidità d’azione (Narahashi T, 1979). Il piretro è comunemente catalogato come l’insetticida più sicuro, per la sua bassa tossicità acuta. Viene scarsamente assorbito mediante il tratto gastrointestinale o la pelle, mentre può essere rapidamente assorbito dall’uomo tramite i polmoni durante la respirazione.
Questa scarsa tossicità per i mammiferi è dovuta al fatto che i piretroidi sono rapidamente biotrasformati per idrolisi esterica e/o idrossilazione. Negli insetti, invece, il piretro viene metabolizzato lentamente e questo processo è ulteriormente rallentato quando il composto è mescolato con butossido di piperonile (sostanza che inibisce il citocromo P450) con seguente aumento dell’effi cacia insetticida della sostanza.
In confronto ad altri pesticidi le piretrine hanno spiccate proprietà allergizzanti (specialmente le polveri a base di piretro rispetto ai piretroidi sintetici). Sono stati documentati numerosi casi di dermatiti da contatto e di allergie all’apparato respiratorio. I soggetti allergici al polline di piante del genere Ambrosia (A.artemisiifolia, A.trifi da) sono particolarmente predisposti a manifestazioni di questo tipo. I piretroidi, derivati sintetici della pietrine, vengono largamente usati in coltivazioni quali cotone, funghi, cereali e in serre e giardini domestici; il Deltamethrin, ad esempio, ha un ampio spettro d’azione ed è considerato il più potente tra i piretroidi con un’azione quasi 3 volte più potente rispetto a composti come il Permethrin o il Cipermethrin.
Gli effetti acuti da esposizione acuta prolungata a Deltamethrin, negli esseri umani, includono atassia, convulsioni che portano a fi brillazioni del muscolo e paralisi, dermatiti, edema, dispensa, emicrania, induzione microsomica epatica degli enzimi, irritabilità.
Nei casi più gravi le reazione allergiche da Deltamethrin possono portare a shock anafi lattico con conseguente broncospasmo, gonfi ore improvviso della faccia, delle palpebre, labbra e delle mucose, tachicardia e addirittura a morte per complicazioni respiratorie.
5. Un aspetto particolare e di attualità: il problema dei prodotti erboristici La fi toterapia affonda le sue radici in epoche remote duranti le quali l’esperienza pratica sopperiva alla conoscenza del mondo farmaceutico nelle forme che sono oggi note a tutti, e tuttora rappresenta l’unica base terapeutica per intere popolazioni che vivono in zone remote del globo o poco a contatto con il mondo evoluto.
Dopo gli enormi progressi della chimica farmaceutica negli ultimi 40 anni che hanno offuscato l’immagine della medicina tradizionale e posto nel dimenticatoio buona parte delle applicazioni di tipo fi toterapeutico, si assiste già da qualche anno ad un ritorno d’interesse per la terapia di disturbi lievi e passeggeri mediante preparazioni semplici ottenute da droghe vegetali (Monti L., 1999).
A questo aumento d’interesse ha corrisposto, nelle farmacie, una crescente richiesta di preparazioni offi cinali che ha rivitalizzato il settore della produzione di fi tofarmaci oggi in netta espansione.
Analogo andamento si è riscontrato anche in altri paesi europei quali la Svizzera, la Germania o la Francia nei quali però la tradizione erboristica ha sempre trovato un più largo impiego rispetto all’Italia.
Avendo recepito tale interesse, la Commissione per la Farmacopea Uffi ciale ha incrementato notevolmente il numero di monografi e raccogliendole in un unico volume che, allegato alla Farmacopea Uffi ciale IX edizione, ne è parte integrante. Le droghe vegetali sia di produzione italiana che di importazione, sono soggette pertanto a norme ben defi nite che riguardano il contenuto di principi attivi ed eventuali inquinanti di tipo microbiologico o chimico quali fumiganti, afl atossine, metalli pesanti, radioattività o residui di pesticidi, che ne garantiscono la qualità.
La fi toterapia è una pratica terapeutica che si avvale di prodotti medicinali la cui sostanza attiva è costituita esclusivamente da una droga o da una preparazione vegetale. Le sostanze attive vegetali si distinguono per essere delle miscele complesse di composti chimici (fi tocomplessi) e non singoli composti chimici come avviene nella maggior parte dei farmaci attualmente in uso (farmaci monomolecolari) (Weiss R., 1996).
I farmaci vegetali possiedono, quindi, delle caratteristiche terapeutiche proprie che derivano sia dalla contemporanea presenza di composti con attività biologiche individuali distinte, sia da interazioni che possono avvenire fra questi composti; il risultato è che il fi tocomplesso esercita un’azione farmacologia che è diversa da quella di ciascuno dei singoli composti che lo costituiscono.
Le droghe e le preparazioni vegetali hanno preceduto, nella storia della medicina, i farmaci monomolecolari moderni, ma al pari di questi, agiscono con meccanismi di interferenza nei processi biochimici dell’organismo prevenendo o riparando le anomalie che portano alle malattie (Evans W.C., 1998).
I meccanismi dell’azione farmacologia e la potenza di tale azione vengono studiati e dimostrati nelle sostanze attive vegetali ricorrendo ai metodi sperimentali adottati anche nel caso dei farmaci monomolecolari. Di conseguenza, la fi toterapia è una branca della medicina basata sulla scienza e non una medicina alternativa basata su concetti fi losofi ci estranei alla scienza.
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi 5.1. Ragioni per le quali le piante curano le malattieLe piante, al pari di altri organismi viventi che sono caratterizzati da una esistenza fi ssa, affi dano interamente alla chimica la loro possibilità di interagire con l’ambiente che le circonda. Determinati composti chimici prodotti dal loro metabolismo secondario permettono, infatti, alle piante di adattarsi a vivere in una notevole diversità di ambienti, caratterizzati anche da condizioni estreme (basse o alte temperature, scarsa o eccessiva umidità o salinità del suolo, presenza nel suolo di metalli pesanti tossici e di altri inquinanti, ecc.), di selezionare le strategie riproduttive più convenienti (attrazione degli impollinatori, dispersione dei semi), di conquistare e difendere un proprio spazio vitale, di difendersi dai predatori.
Nel caso particolare della difesa dai predatori, le piante mettono in atto delle strategie che, basate sull’ azione di specifi ci composti chimici selezionati dall’evoluzione, permettono di modifi care il comportamento di piante concorrenti, di insetti e di vertebrati, inclusi i mammiferi. Nella maggioranza dei casi, questi composti chimici esercitano un potere deterrente attraverso il colore che conferiscono alla pianta, l’odore sgradevole o il sapore amaro, oppure per mezzo delle loro proprietà venefi che.
In altri casi, i meccanismi di difesa messi in atto da deteriminate piante sono più raffi nati, interferendo intimamente nella biologia dei predatori, come quando attraverso l’indebolimento delle loro performances riproduttive limitano la dimensione delle loro popolazioni (De Smet P., 1995).
Per produrre gli effetti descritti, è necessario che i metaboliti secondari delle piante siano biologicamente attivi in altre specie viventi, inclusi i mammiferi e l’uomo. Questa realtà è testimoniata dal fatto che di tutte le strutture chimiche basilari sino ad oggi note essere biologicamente attive, 1’85% ha origine naturale e solo il 15% proviene dalla sintesi chimica di laboratorio; il 27% di tali strutture è di origine vegetale.
In una certa percentuale di casi, la struttura chimica dei metaboliti secondari vegetali è analoga a quella dei metaboliti secondari prodotti dagli animali o addirittura uguale; per esempio, il fagiolo comune (Faseolus vulgaris) produce 17-p-estradiolo, l’ormone ad attività estrogenica delle femmine dei mammiferi, mentre varie specie di pino producono testosterone, l’ormone sessuale maschile.
Esiste la possibilità che metaboliti secondari prodotti dalle piante con lo scopo di difendersi dagli attacchi di microorganismi patogeni, batteri, funghi e virus, esercitino, se ingeriti dagli animali, anche in questi un’azione xenobiotica. In altri casi, le interferenze che metaboliti secondari vegetali esercitano nei meccanismi biochimici animali possono produrre un effetto riparatore nei confronti di quelli che cause organiche o esogene hanno deviato in senso patologico.
In effetti, molte classi dei farmaci che attualmente utilizziamo hanno come capostipite un metabolita secondario di una pianta, o addiritura sono tal quali metaboliti secondari di piante.
Per esempio, la Digossina (Lanoxin) è il principio attivo ricavato dalle foglie di Digitalis purpurea e la Penicillina deriva dal fungo Penicillium notatum.
Oltre alle classi degli antiinfi ammatori non steroidei, dei glicosidi cardioattivi e degli antimalarici chinolinici cui si riferiscono questi esempi, altre classi di farmaci, come per esempio quelle degli antiaritmici, dei bloccanti neuromuscolari, degli analgesici-narcotici, degli anestetici locali e, spesso anche antitumorali derivano da principi attivi vegetali. Quindi, il modo di curare le malattie di molti farmaci di sintesi non differisce, per lo meno per quanto riguarda i meccanismi biologici basilari, da quello delle piante.
5.2. Droghe, preparazione di droghe e farmaci vegetaliAl fi ne di poter somministrare i principi attivi contenuti nelle piante, è necessario che esse siano sottoposte ad alcune lavorazioni. La più semplice di queste è la frantumazione spesso preceduta o seguita da essiccamento; il prodotto di queste operazioni si chiama droga (forse dall’olandese ‘droog’ che vuol dire secco).
La droga consiste quindi in una pianta o in una determinata parte di una pianta (foglia, fi ore, tutta la parte che affi ora dal suolo, la radice, il frutto, ecc.) raccolta nel periodo conveniente della stagione (tempo balsamico), sottoposta o meno ad opportuni processi di essiccamento e frantumata. Va sottolineato che, per convenzione, una droga è considerata vegetale anche quando proviene da un fungo, da un’alga o da un lichene.
In alcuni casi, i principi farmacologicamente attivi non sono presenti nella pianta, ma si formano attraverso reazioni chimiche che sopravvengono all’atto dell’essiccamento attuato nel processo di preparazione della droga. Le droghe, in un numero limitato di casi, possono essere somministrate come tali dopo essere state fi nemente polverizzate e incluse in una forma farmaceutica (compressa o capsula) eventualmente assieme ad adatti eccipienti.
Nella maggioranza dei casi, le droghe servono per ottenere le tisane. In pratica, la preparazione di una tisana rappresenta un procedimento domestico di estrazione con acqua calda, che consente a determinati principi attivi di passare dalla droga alla soluzione acquosa destinata ad essere bevuta.
Tuttavia, sono prevalentemente altri i procedimenti che servono, nei laboratori d’analisi e nell’industria, per separare i principi attivi contenuti nelle droghe e presentarli in forme adatte per essere utilizzate nella produzione dei farmaci vegetali. Sicuramente, i procedimenti più utilizzati sono quelli di estrazione con solventi, seguiti da quelli di distillazione, di pressatura, ecc.
Fra i procedimenti più classici della fi topreparazione occorre ricordare L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi l’estrazione della pianta fresca effettuata per macerazione o per percolazione con una miscela di acqua ed alcool; le soluzioni che si ricavano in questo modo sono conosciute con il nome di ‘tinture madri’.
Altri procedimenti tradizionali di estrazione ricevono il nome dal tipo di solvente di estrazione impiegato, come avviene per esempio nel caso dei glicerinati.
Più frequentemente, i procedimenti di estrazione e i solventi o le miscele di solventi sono selezionati in relazione alla natura chimica dei principi attivi che è necessario far passare dalla droga all’estratto o anche che è necessario non far passare nell’estratto perché tossici. A seconda che il solvente di estrazione sia rimosso interamente o solo parzialmente, è possibile ottenere una varia tipologia di estratti secchi (preparazioni solide ottenute per evaporazione completa del solvente impiegato per l’estrazione), molli (preparazioni semisolide ottenute per evaporazione completa o parziale del solvente di estrazione) e fl uidi (preparazioni liquide ottenute per macerazione seguita da percolazione con un solvente, alcool etilico e/o acqua).
Un prodotto di prima estrazione (estratto totale) può essere sottoposto ad ulteriori procedimenti estrattivi con solventi diversi da quello impiegato per la prima volta e ciò per ricavare fi tocomplessi arricchiti in determinati principi attivi contenuti nella pianta piuttosto che in altri. In generale, gli estratti che sono preparati in modo da contenere costantemente quantità percentuali fi sse di determinati principi attivi o costituenti chimici sono chiamati ‘standardizzati’. La distillazione è un ulteriore procedimento fra quelli tradizionalmente utilizzati per separare i principi attivi utili dai materiali inutili di una pianta. Più comunemente, è utilizzata l’estrazione in corrente di vapore, che permette di estrarre i principi attivi della pianta quando questi sono dei composti chimici volatili; la sostanza che si ricava è detta olio essenziale o essenza.
Negli estratti, negli oli essenziali e in tutte le altre sostanze che si ricavano dalle droghe essiccate o fresche sottoponendole a procedimenti di frazionamento, alcuni principi farmacologicamente attivi risultano essere fortemente concentrati. Questa caratteristica, unitamente al fatto che, per via del frazionamento, alcuni componenti originari della droga o della pianta possono risultare eliminati, fa in modo che gli estratti o le essenze possano essere caratterizzate da attività farmacologiche che differiscono da quelle della droga o della pianta di partenza e che comunque sono più potenti.
Deriva da ciò che se i margini di sicurezza di una droga sono ampi, non altrettanto può essere per le preparazioni che da quella droga derivano. Le preparazioni vegetali sono generalmente somministrate dopo essere state opportunamente formulate.
5.3. Il ruolo della Fitoterapia nella medicinaLa tipologia dei farmaci che al giorno d’oggi sono a disposizione della medicina è molto variegata, con estremi costituiti da farmaci il cui impiego in determinate malattie è indispensabile per salvare la vita e da farmaci che non hanno una effettiva capacità curativa, ma che servono solo per eliminare certi sintomi più fastidiosi che pericolosi.
Poiché i prodotti medicinali vegetali agiscono, come visto, con meccanismi farmacologici che sono uguali o simili a quelli dei farmaci di altra natura, anche nel loro caso si riproducono le tipologie di impiego descritte. Esistono quindi farmaci vegetali che possono essere impiegati per la cura di malattie importanti ed esistono farmaci vegetali che sono solo sintomatici o palliativi.
In una notevole proporzione dei casi, i prodotti medicinali vegetali sono però adatti solo per indicazioni terapeutiche minori o servono da supporto all’azione di farmaci più importanti di altra natura, tanto che la fi toterapia viene normalmente iscritta fra le pratiche mediche complementari. Per esempio non esiste, per lo meno allo stato attuale, alcun farmaco vegetale che possa sostituire gli antinfi ammatori non steroidei di sintesi e tanto meno i modifi catori della risposta biologica nel trattamento delle gravi forme di artrosi e di artrite reumatoide.
Alcune piante, comunque, come per esempio l’ortica, esercitano una loro azione analgesica-antiinfi ammatoria che permette di ridurre i dosaggi, e quindi gli effetti collaterali, di tali farmaci, fornendo ai pazienti un benefi cio di non poco conto. È possibile affermare che in certi casi la qualità della vita viene compromessa non tanto dal danno provocato dalla malattia ma dalla sintomatologia che l’accompagna e che in questi casi la medicina complementare può svolgere un suo importante ruolo.
I principi attivi contenuti nelle droghe e nelle preparazioni, essendo miscelati con altri composti chimici, conferiscono ad esse una potenza farmacologica inferiore a quella che eserciterebbero se somministrati come tali.
Di conseguenza, i farmaci vegetali possono rivelarsi particolarmente utili per il trattamento di disturbi cronici che sarebbe inopportuno aggredire con terapie più pesanti.
5.4. Le norme regolatrici riguardanti i prodotti medicinali vegetali in Italia Le varie nazioni hanno sviluppato a partire dall’epoca della rivoluzione industriale delle regole che prevedono l’impossibilità di commercializzare i prodotti farmaceutici prima che essi abbiano subito un esame preventivo rivolto a certifi care che essi posseggano determinati requisiti (registrazione). Le stesse nazioni si sono trovate d’accordo nello stabilire che tali requisiti debbano principalmente essere la qualità, la sicurezza e l’effi cacia.
Per qualità di un prodotto farmaceutico si intende che gli ingredienti che lo costituiscono, compresa la sostanza attiva, devono essere effettivamente quelli dichiarati dal produttore (identità), che tali ingredienti non devono contenere L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi impurezze in quantità superiori rispetto a standard prestabiliti (purezza) e che le quantità di sostanza attiva contenute devono essere tali da assicurare l’effetto terapeutico richiesto (potenza).
Per sicurezza di un prodotto farmaceutico si intende che, alle dosi e nelle condizioni d’uso prescritte, i benefi ci attesi dalla sua somministrazione sono superiori ai rischi tossici (o, se si vuole, che i rischi della malattia sono superiori ai rischi della terapia).
Infi ne, per effi cacia di un prodotto farmaceutico si intende che l’esistenza dei benefi ci attesi dalla sua somministrazione è stata dimostrata in una ampia range di pazienti. Risulta facilmente intuibile che dalla qualità di un prodotto dipendono in una certa misura la sua sicurezza e la sua qualità.
Ancora prima che, nel corso del 1900, fossero defi niti con precisione i concetti di sicurezza e di effi cacia, il problema della qualità dei prodotti medicinali era ben presente, come testimoniano trattati quali ‘Il nuovo ricettario’ pubblicato a Firenze nel 1498, che, antesignani delle moderne Farmacopee, si preoccupavano di dettare delle regole per la preparazione dei medicamenti che ne assicurassero l’omogeneità di composizione ovunque e da chiunque fossero allestiti.
Anche le moderne Farmacopee sono degli standards qualitativi di riferimento ai quali i produttori sono obbligati ad attenersi.
Esse sono generalmente costituite da parti generali, in cui vengono indicati i metodi analitici uffi cialmente accettati per il riconoscimento e la determinazione quatitativa dei principi farmacologicamente attivi, degli eccipienti e delle rispettive più comuni impurezze; inoltre, sono presenti monografi e di farmaci, in cui sono indicati i requisiti analitici che ciascuno di essi deve possedere, inclusi i limiti delle impurezze. Lo sviluppo delle Farmacopee è dettato dall’introduzione sia di nuove metodiche analitiche, più affi dabili delle precedenti, sia di nuove monografi e ogniqualvolta un nuovo farmaco esce dal periodo di protezione brevettuale.
Sia i metodi analitici generali che le specifi che di prodotto di una Farmacopea rifl ettono il livello di sviluppo culturale e tecnologico del paese di appartenenza. Tuttavia, la diffusione universale della scienza e della tecnologia e, soprattutto, i processi in atto di armonizzazione internazionale delle regole farmaceutiche hanno favorito l’affermazione di Farmacopee sopranazionali che rappresentano il compendio di quelle originarie di singoli paesi che si sono poi legati con patti politici o economici.
Così, in Italia, sono contemporaneamente in vigore sia la Farmacopea Italiana sia la Farmacopea Europea, che incorpora non solo le Farmacopee dei paesi facenti parte della Unione Europea, ma anche l’ex Compendium Medicamentorum dei paesi dell’Europa Orientale e l’ex Nordic Pharmacopoeia dei paesi Scandinavi.
Sulla base della legislazione vigente, la commercializzazione dei farmaci vegetali in Italia è soggetta ad una autorizzazione ministeriale rilasciata in accordo con le regole valide anche per i farmaci di altri generi, monomolecolari o meno. Questo fatto costituisce un ostacolo alla registrazione di questo tipo di farmaci; esiste quindi nel nostro paese un numero non ampio di specialità medicinali che rientrano nella defi nizione di ‘farmaco vegetale’ e che, a seconda dell’ indicazione farmaceutica, possono essere a prescrizione medica oppure per automedicazione.
Tuttavia, il mercato più ampio dei prodotti medicinali vegetali è rappresentato in Italia dagli integratori alimentari, forse più noti come prodotti erboristici. La commercializzazione di questi prodotti non cade attualmente sotto la regolamentazione farmaceutica, ma sotto quella relativa ai prodotti alimentari, per cui essi non subiscono alcun controllo per quanto riguarda la qualità di grado farmaceutico, la sicurezza e l’effi cacia e il possesso di questi requisiti è a discrezione dei produttori.
Ciò non signifi ca che i consumatori italiani non possano disporre di farmaci vegetali controllati secondo le regole farmaceutiche. Infatti, le droghe e alcune delle preparazioni vegetali di uso più diffuso sono inserite nella Farmacopea Italiana e, con qualche differenza, nella Farmacopea Europea. Alcune formulazioni di sostanze vegetali sono incluse nel Formulario Nazionale annesso alla Farmacopea Italiana.
La legge autorizza i Farmacisti ad allestire nei propri laboratori prodotti medicinali vegetali inclusi sia nella Farmacopea Italiana che in quella Europea, che sono noti con il nome di prodotti galenici. Vi sono due tipi di prodotti galenici: quelli magistrali, che sono preparati dietro specifi ca richiesta del cliente, e quelli offi cinali, che possono essere preparati in anticipo dal Farmacista in modo che il cliente li trovi pronti e che sono producibili anche industrialmente. A seconda della natura della sostanza vegetale, alcuni prodotti galenici sono preparabili dal Farmacista solo se il cliente è munito della richiesta di un medico, mentre altri sono liberamente acquistabili.
La Farmacopea Italiana elenca 62 droghe vegetali alle quali è dedicata una monografi a; inoltre sono iscritti 19 tra estratti e tinture, 14 polveri titolate e 16 essenze. Nella European Pharmacopeia sono invece elencate 108 droghe, 16 essenze, 11 fra estratti e tinture e 3 polveri titolate.
Il settore dei farmaci in Europa1 è fortemente organizzato per quanto riguarda gli aspetti regolatori. Dal 1993, i problemi relativi alla valutazione dei farmaci sono affi dati ad un organo tecnico centrale, denominato European Medicines Evaluation Agency (EMEA), che ha sede a Londra e al quale compete la risoluzione sul piano generale della problematica connessa con il rilascio delle autorizzazioni alla commercializzazione dei prodotti medicinali. La struttura dell’EMEA è articolata e complessa, ma le funzioni più importanti per l’aspetto tecnico-scientifi co sono 1 La regolamentazione farmaceutica europea fa capo alla Comunità Europea e non all’Unione Europea, poichè ad essa aderiscono anche paesi come la Svizzera, non della UE.
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi affi date a 4 comitati, il comitato per i prodotti medicinali per uso umano (CHMP) e il comitato per i farmaci per uso meterinario (CVMP), il comitato per i farmaci orfani (COMP) e il comitato per i prodotti medicinali vegetali (CHMP).
Allo stato attuale, vigono in Europa tre distinte procedure per la registrazione dei farmaci: la procedura nazionale, la procedura di mutuo riconoscimento e la procedura centralizzata. Le procedure nazionali sono quelle originali che i singoli paesi dell’Unione si sono date; esse sono state fortemente armonizzate fra loro negli ultimi decenni, ma non sono completamente sovrapponibili; i farmaci registrati con tali procedure possono circolare solo nel paese che ha rilasciato l’autorizzazione.
La procedura europea di mutuo riconoscimento permette di rendere l’autorizzazione alla commercializzazione di un farmaco, ottenuta in una nazione, valida anche in altri paesi membri utilizzando la stessa documentazione (dossier) predisposta per la prima registrazione. La procedura centralizzata, che è gestita direttamente dall’EMEA, è obbligatoria per i farmaci biotecnologici ed altri farmaci di alta tecnologia; i farmaci registrati con questa procedura sono automaticamente commercializzabili in tutti i paesi dell’Unione.
È in corso di stesura una direttiva europea riguardante i prodotti medicinali vegetali tradizionali; quando questa direttiva sarà promulgata, sarà possibile nei paesi europei registrare i prodotti medicinali vegetali con una specifi ca procedura, che si aggiungerà alle tre esistenti. Questa procedura è appositamente concepita al fi ne di non ostacolare l’accesso al mercato di questi particolari farmaci con regole troppo restrittive e nello stesso tempo di garantire la loro qualità e sicurezza.
Il costituendo comitato per i prodotti medicinali vegetali si occuperà, nell’ambito dell’EMEA, dei farmaci vegetali che hanno i requisiti per poter essere registrati con la procedura di mutuo riconoscimento oppure con la procedura per l’uso tradizionale.
6. Il caso della Serenoa repens (saw palmetto): La serenoa repens, chiamata anche Sabal o Palmetto della Florida, è una pianta che cresce nelle zone costiere a clima subtropicale dell’America settentrionale, nel Sud-Europa e nel Nord Africa (Gerber G.S., 2000). Presenta foglie a forma di ventaglio e frutti tipo bacche delle dimensioni di un’oliva di colore rosso scuro.
Composizione dell’estratto: Acidi grassi: acido laurico, miristico, caprilico, caprico, politico, stearico, oleico, linoleico. Metil ed etil esteri di acidi grassi: beta-sitosterolo, stigmasterolo, campesterolo, luppolo, cicloartenolo, beta-sitosterolo 3-0-beta-D-glucosoide. Al-coli saturi e insaturi a lunga catena: esacosanolo, 1-octacosanolo.
Polisaccaridi: galattosio, arabinosio, xilosio, ramnosio, glucosio e acido Proprietà farmacologiche:L’effi cacia farmacologica della Serenoa repens è data dall’insieme di diversi - antagonismo selettivo locale del legame tra diidrotestosterone e recettore - inibizione della 5-alfa-reduttasi, enzima implicato nella trasformazione del testosterone in 5-diidrotestosterone (DHT), metabolita biologicamente attivo che stimola la proliferazione cellulare, favorendo quindi l’ipertrofi a del tessuto prostatico.
Quest’enzima stimola, inoltre, la formazione di forfora e di sebo in eccesso sul cuoio capelluto, soffocando il bulbo pilifero che diventa sempre più atrofi co (miniaturirazzione del capello) fi no a cadere prematuramente.
- antinfi ammatoria e antiedemigena, dimostrata dalla scarsa perme- abilità capillare indotta dall’istamina; viene inoltre ridotta l’ostruzione cervicoprostatica.
- espettorante contro raffreddore, asma e bronchiti (Bombardelli E. and Impiego terapeutico della serenoa repens:La Serenoa repens è indicata principalmente nel trattamento dell’ipertrofi a prostatica benigna al primo stadio, in cui predominano disturbi unirari indicati col termine ‘disuria’.
In parte è utile anche al secondo stadio, in cui aumenta la ritenzione urinaria, per cui la vescica non si svuota mai completamente, ma rimane sempre un residuo.
L’analisi dei risultati di trials clinici effettuati per verifi care l’effi cacia della Serenoa repens nel trattamento dell’ipertrofi a prostatica benigna dimostrano che esiste un effettivo miglioramento della pollachiuria e della nicturia nei pazienti che l’assumono rispetto ai pazienti trattati con placebo.
Il dosaggio varia a seconda della severità dei sintomi. Generalmente l’estratto standardizzato di Serenoa repens dovrebbe essere assunto alla dose di 160 mg per due volte al giorno per 1-3 mesi (Plosker G.L and Brogden R.N., 1996).
La Serenoa repens è presente in commercio in preparazioni farmaceutiche registrate e preparazioni erboristiche, quali compresse e tinture madri.
Gli effetti collaterali, in seguito all’assunzione di Serenoa repens, sono piuttosto rari e sono costituiti principalmente da disturbi gastrointestinali, nausea, cefalea, vertigini (Tasca A., et al., 1985). È stato riscontrato un unico caso di epatite colestatica in un uomo che aveva assunto una preparazione contenente Serenoa repens per un periodo di 2 settimane. Al momento, inoltre, non è stata segnalata nessuna reazione avversa da interazione con farmaci di sintesi o altre erbe medicinali.
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi Scopo della presente ricerca, svolta nel 2004 in collaborazione con il Laboratorio LabAnalysis di Casanova Lonati (Pv), è stato confrontare le concentrazioni dei pesticidi riscontrate nei campioni di Serenoa repens con i limiti di legge imposti dalla Farmacopea uffi ciale.
Il settore erboristico negli ultimi anni ha conosciuto un enorme sviluppo e interesse che ha reso indispensabile un attento criterio di analisi per verifi care la presenza dei pesticidi nelle piante offi cinali.
Negli ultimi anni, infatti, il numero di persone che si sono avvicinate alla fi toterapia, così come la quantità delle piante offi cinali presenti sul mercato è andato aumentando notevolmente.
Questo ha determinato una richiesta ingente in termini quantitativi di erbe che sino a qualche tempo fa erano prodotte in quantità limitate.
Il passaggio da piccole e limitate piantagioni a vere proprie colture estensive ha inevitabilmente richiesto un approccio agricolo alla coltura di queste erbe che richiede l’uso consistente sia di concimi che di pesticidi.
Inoltre le piantagioni di produzione delle erbe utilizzate in fi toterapia spesso sono situate in nazioni con legislazioni carenti o comunque non equipollenti a quella presenti in Europa.
Per questo motivo è diventato sempre più importante applicare anche alle importazioni di erbe offi cinale gli stessi severi controlli tossicologici delle colture foraggere o cerealicole.
Lo scopo del lavoro è stato quello di valutare in un campione di pianta erboristica, quale la Serenoa repens, molto famosa e utilizzata per le sue proprietà terapeutiche, la presenza e la concentrazione di pesticidi clorurati, fosforati, piretroidi e piperonil butossido e confrontare i risultati ottenuti con i limiti imposti dalla Farmacopea uffi ciale.
8. Determinazione dei pesticidi fosforati, clorurati, piretroidi e del piperonil butossido in campioni di serenoa repens frutti 8.1. Campo di applicazione.
Il metodo descritto permette la determinazione di pesticidi clorurati, fosforati, piretroidi e piperonil butossido in campioni di serenoa repens frutti.
Il metodo è applicabile ai pesticidi riportati in dettaglio nelle tabelle 1 e 2, nelle quali viene anche specifi cato l’intervallo di concentrazioni entro cui il metodo è applicabile. Nel caso in cui il campione abbia una concentrazione maggiore per alcuni pesticidi rispetto a quelle indicate si deve procedere con opportune diluizioni.
TAB. 1 - ELENCO DEI PESTICIDI FOSFORATI (PH. EUR 3ND ED.) CUI IL METODO È APPLI-CABILE E CAMPO DI APPLICABILITÀ TAB. 2 - ELENCO DEI PESTICIDI CLORURATI E PIRETROIDI (PH. EUR. 3ND ED.) CUI IL METODO È APPLICABILE E CAMPO DI APPLICABILITÀ Chlordane (somma di cis, trans e oxychlordane) DDT (somma di p,p’-DDT, o,p’-DDT,p,p’-DDE, p,p’-DDD) 0-0.6µg/gEndosulfan (somma di isomeri e endosulfan sulphate) 0-0.6µg/gEndrin L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi 8.2 Principio del metodoSi procede ad una estrazione del campione con acetone e, dopo purifi cazione, si analizza la soluzione mediante gascromatografi a con rilevatori ECD, NPD e mediante gascromatografi a accoppiata alla spettrometria di massa.
8.3. Apparecchiature8.3.1. Evaporatore rotante.
8.3.2. sistema di concentrazione sotto fl usso d’azoto.
8.3.3. Gascromatografo con rilevatore ECD; mod. HP 6890.
8.3.4. Gascromatografo con rilevatore NPD; mod. HP 6890.
8.3.5. Gascromatografo accoppiato allo spettrometro di massa MSD (Hewlett 8.3.6. Sistema di purifi cazione mediante cromatografi a liquida a permeazione di gel equipaggiato con colonna avente diametro interno di 1cm e altezza 30cm (mod. 1L MLS-Lab-Service od equivalente).
8.3.7. Bilancia analitica.
8.3.8. Bilancia termica.
8.4. Reagenti8.4.1. Cicloesano, etile acetato, acetone, etere di petrolio, etere etilico, 8.4.2. Soluzione eluente etile acetato/cicloesano 50/50 (V/V).
8.4.3. Soluzione standard interno per pesticidi fosforati: si pesano accuratamente 15 mg di Ethoprofos, si sciolgono in cicloesano e si portano a 100 ml.
8.4.4. Soluzione standard interno per pesticidi clorurati: si pesano accuratamente 5 mg di Fenchlorphos (Ronnel), si sciolgono in cicloesano e si portano a 100 ml.
8.4.5. Florisil attivato per 12 ore a 130 0C.
8.4.6. Florisil disattivato: al fl orisil come al punto 4.5 viene aggiunta acqua distillata (10%p/p). Mescolare vigorosamente e lasciare equilibrare per circa 12 ore in essiccatore agitando periodicamente.
8.5. Preparazione del campione8.5.1. estrazione con acetone:Si pesano accuratamente circa 20 gr di campione in una beuta da 250 ml e si si aggiungono 200 ml di acetone e si lascia sotto agitazione per una notte;si lascia decantare e si fi ltra la soluzione su fi ltro di carta;si aggiungono nella beuta altri 100 ml di acetone, si mettono in bagno ad ultrasuoni per 15 minuti e si fi ltra nuovamente.
Si riuniscono i fi ltrati e si concentra a 10 ml con il rotavapor a 40o C.
8.5.2. partizione acetonitrile/etere di petrolio:Si prelevano 2 ml dell’estratto ottenuto al punto 5.1, si trasferiscono in un pallone da 100 ml e si concentra a piccolo volume dapprima con rotavapor e poi con fl usso d’azoto. Si riprende con 30 ml di etere di petrolio e si trasferisce la soluzione in un imbuto separatore da 250 ml.
Si effettuano 2 estrazioni con 50 ml di acetonitrile saturo di etere di petrolio. Ad ogni estrazione si raccoglie la fase sottostante raccogliendola in un pallone da 250 ml. Le frazioni riunite vengono portate a piccolo volume con rotavapor. Si effettua un cambio di solvente da acetonitrile ad etile acetato e si riconcentra a 2 ml.
8.5.3. Purifi cazione mediante cromatografi a di esclusione:All’estratto concentrato a 2 ml ottenuto al punto 5.2 si aggiungono 2 ml di cicloesano e la soluzione, previa fi ltrazione su fi ltro a membrana da 0.45µm, viene avviata alla purifi cazione mediante cromatografi a a permeazione di gel come descritto al punto 3.6. Il sistema è dotato di loop di iniezione da 1 ml.
8.5.4. Purifi cazione degli estratti mediante fl orisil attivato (limitatamente ai pesticidi clorurati, piretroidi e piperonil butossido): Si prepara una colonnina di fl orisil nel seguente modo: pesare circa 6 gr di fl orisil attivato come descritto in 4.5 in un becker da 100 ml; aggiungere circa 50 ml di etere di petrolio e versare la sospensione in una colonna in vetro alta 25-30 cm e del diametro di 1 cm; lasciar sedimentare il fl orisil lasciando fl uire l’eccesso di solvente.
Si trasferiscono 0.25 ml dell’estratto ottenuto in 5.3 in testa alla colonna e si eluisce con 200 ml di una soluzione etere etilico/etere di petrolio 50:50.
Si concentra la fase organica prima con rotavapor poi sotto fl usso di azoto fi no a 100µl, si aggiungono 5µl della soluzione 4.4 diluita 1:1 in cicloesano e si analizza con gascromatografi a con rivelatore ECD.
8.5.5. Purifi cazione degli estratti mediante fl orisil disattivato (limitatamente 0.25 ml della soluzione ottenuta al punto 5.3 vengono caricati su una colonnina di fl orisil da 1 gr. preparata come descritto al punto 4.6; si fl uisce con 30 ml di una soluzione etere etilico/etere di petrolio 50:50;si riduce a piccolo volume dapprima con rotavapor e poi con fl usso d’azoto si aggiungono 2.5 µl della soluzione 4.3 diluita 1:1 in cicloesano;si analizza mediante gascromatografi a con rilevatore NPD.
8.6. Dettagli analitici e strumentali8.6.1. Determinazione dei pesticidi fosforati:Si impiega una colonna capillare HP-5 30 m, I.D. 0.25 mm, fi lm 0.25 µm od equivalente montata su gascromatografo con rilevatore NPD.
Il programma termico impiegato è il seguente:Temperatura iniziale: 50-80o C. isoterma per 1-5 min;rampa no1: 20o C./min fi no a 100-150o C; isoterma per 1-5 min;rampa no2: 3-5o C/min fi no a 220-280o C; isoterma per 0-5 min;rampa no3: 20o C/min fi no a 300o C; isoterma di 5-10 min.
Temperatura iniettore: 200-280o C: Temperatura detector: 325o C.
Sistema d’iniezione: split/splitless con chiusura della valvola per 1 minuto.
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi Gas di trasporto: elio.
8.6.2. Determinazione dei pesticidi clorurati e piretroidi:Si impiega una colonna capillare SPB-608 30 cm, I.D. 0.25 mm, fi lm 0.25 µm od equivalente montata su gascromatografo con rilevatore ECD.
Il programma termico utilizzato è il seguente:Temperatura iniziale: 50-80 o C. isoterma per 1-5 min;rampa no1: 20o C./min fi no a 100-150 oC; isoterma per 1-5 min;rampa no2: 3-5o C/min fi no a 290-300o C; isoterma per 5-10 min;Temperatura iniettore: 200-280o C: Temperatura detector: 310o C.
Sistema d’iniezione: split/splitless con chiusura della valvola per 1 minuto.
Gas di trasporto:azoto.
8.6.3. Determinazione del piperonil butossido e conferma dei pesticidi Si impiega una colonna cromatografi a del tipo HP-5 MS 30 m, I.D.0.25 mm, fi lm 0.25 µm ed equivalente e si utilizza il seguente programma termico: Temperatura iniziale: 80-110o C per 1-5 minuti;rampa no1: 3-8 min fi no a 300o C; isoterma per 2-10 min.
Temperatura iniettore: 200-280o C: Temperatura ‘transfer line’: 300o CSistema d’iniezione: split/splitless con chiusura della valvola per 1 minuto.
Gas di trasporto: elio.
8.7. Preparazione delle soluzioni di riferimento8.7.1. Preparazione delle soluzioni di riferimento per la convalida.
8.7.1.1. Preparazione delle soluzioni dei pesticidi fosforati:Si preparano accuratamente circa 10 mg di ciascun pesticida mediante una bilancia con sensibilità di almeno 0.1 mg in un matraccio da 10 ml. Si aggiunge il solvente adatto alla solubilizzazione del pesticida in esame (vedi tabella 3) e si porta a volume con lo stesso solvente (soluzioni di riferimento da 1000 mg/l).
Dalle soluzioni singole si preparano le soluzioni madre PP e Ppbis seguendo le indicazioni riportate nelle tabelle 4 e 5; (le soluzioni PP e Ppbis hanno una concentrazione pari a circa 10 volte il limite della Ph. Eur).
TAB. 4 - SOLUZIONE MADRE PP (VOLUME FINALE: 10 ML; SOLVENTE: CICLOESANO) TAB. 5 - SOLUZIONE MADRE PPBIS PP (VOLUME FINALE: 10 ML; SOLVENTE: CICLOESANO) Dalle soluzioni madre PP e PPbis vengono preparate le soluzioni di lavoro seguendo le indicazioni riportate nella tabella 6.
soluzione madre PPbis Solvente cicloesano 8.7.1.2. Preparazione delle soluzioni di riferimento dei pesticidi clorurati, Si preparano accuratamente circa 10 mg di ciascun pesticida mediante una bilancia con sensibilità di almeno 0.1 mg in un matraccio da 10 ml. Si aggiunge il solvente adatto alla solubilizzazione del pesticida in esame (vedi tabella 3) e si porta a volume con lo stesso solvente (soluzioni di riferimento da 1000 mg/l).
L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi Chlordane (somma di cis, trans e oxychlordane) DDT (somma di p,p’-DDT, o,p’-DDT,p,p’-DDE, p,p’-DDD) AcetoneEndosulfan (somma di isomeri e endosulfan sulphate) Dalle soluzioni singole si preparano le soluzioni madre PCl e Pclbis seguendo le istruzioni riportate nelle tabelle 8 e 9; (le soluzioni PP e Ppbis hanno una concentrazione pari a circa 10 volte il limite della Ph. Eur). TAB. 8 - SOLUZIONE MADRE PCL (VOLUME FINALE: 10 ML; SOLVENTE: CICLOESANO) Chlordane (somma di cis, trans e oxychlordane) DDT (somma di p,p’-DDT, o,p’-DDT,p,p’-DDE, p,p’-DDD) 25Endosulfan (somma di isomeri e endosulfan sulphate) TAB. 9 - SOLUZIONE MADRE PCBIS (VOLUME FINALE:10 ML; SOLVENTE: CICLOESANO) Dalle soluzioni madre PCL PClbis vengono preparate le soluzioni di lavoro seguendo le indicazioni riportate nella tabella 10.
soluzione madre PClbis Solvente cicloesano 8.7.2. Soluzioni di riferimento per l’analisi dei campioni.
8.7.2.1. Soluzioni di riferimento dei pesticidi fosforati:Come soluzione di riferimento vengono prese le soluzioni A2, A4, A6 e A2 bis, A4 bis, A6 bis preparate secondo la P-PRO-15 (punto 7.1.1).
8.7.2.2. Soluzioni di riferimento dei pesticidi clorurati, piretrodi, e piperonil Come soluzione di riferimento vengono prese le soluzioni B2, B4, B6 e B2 bis, B4 bis, B6 bis preparate secondo la P-PRO-15 (punto 7.1.2.).
8.8. Preparazione della curva di calibrazioneSi effettuano almeno tre replicazioni per ciascun livello di concentrazione in fase di convalida del metodo e due replicazioni per ciascun livello di concentrazione in fase di analisi dei campioni.
8.9. Determinazione del contenuto del pesticida del campione Effettuare almeno 2 replicazioni delle analisi cromatografi che su un campione preparato secondo le indicazioni riportate al punto 5. Controllare sistematicamente ogni 4-5 determinazioni la concentrazione delle soluzioni di riferimento relative all’analisi del campione: se la media di 2 determinazioni successive differisce di oltre il 10% dal corrispondente valore letto sulla curva di taratura occorre procedere alla costruzione di una nuova curva di taratura. L’impatto tossicologico ambientale dei pesticidi Nel caso in cui, dall’analisi con rilevatore ECD o NPD venga evidenziata la presenza di un pesticida, quest’ultimo viene confermato mediante analisi della soluzione con GC-MS.
8.9.1 calcoli la concentrazione Cc di ciascun pesticida in esame, espressa in mg/Kg, si ricava mediante la formula:Cc = (CS * 5)/pdove:CS: concentrazione del pesticida in esame nella soluzione contenente il campione, ricavata dalla curva di taratura ed espressa in µg/ml, tenendo conto delle eventuali diluizioni;p: peso del campione trattato espresso in grammi.
8.9.2 Presentazione del risultatoSi utilizza la formula:Concentrazione del pesticida(µg/g) = Cc ± CV(%)dove:Cc: media di due determinazioni ricavate come descritta al punto 9.1;CV: deviazione standard relativa percentuale del metodo.
9. Validazione pesticidi serenoa repens frutti PESTICIDI CLORURATI, PIRETROIDI E PIPERONIL BUTOSSIDO: Limiti Ph.Eur Limiti richiesti Limite raggiunto Limiti Ph.Eur Limiti richiesti Limite raggiunto La verifi ca fi nale ha confermato che i campioni di Serenoa repens analizzati in laboratorio avevano concentrazioni di pesticidi clorurati, fosforati, piretroidi e piperonil butossido decisamente al di sotto dei limiti di legge e per tanto testimoniavano la provenienza da colture esenti da contaminazioni e per questo sane e sicure per le fi nalità cui erano destinate.
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