Il novecento musicale nasce nel segno dell'evoluzione quantitativa: la velocit eletta emblema del progresso fin da met ottocento e poi l'elettricit sua realizzazione si accompagnavano alla progressiva dissoluzione delle lites e dei loro privilegi
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Allo stato attuale della ricerca, non è ancora possibile dar conto
in modo esauriente della straordinaria molteplicità di forme in cui si esprime la pubblicistica musicale italiana. La stessa definizione di “musicale” dipende in buona parte da una valutazione soggettiva, volendo in realtà significare, più propriamente, di “interesse musicale”. Nel corso di oltre duecento anni, una miriade di testate – del tutto disomogenee per formato, impostazione, contenuto, destinazione, appartenenza – hanno configurato una categoria di strumenti di comunicazione apparentati, talvolta esclusivamente, proprio da quel generico “interesse musicale”, oltre che dal fatto di essere pubblicati secondo una cadenza periodica stabilita. Se a questi aspetti non agevolanti si aggiunge l’obiettiva difficoltà nel reperire le pubblicazioni e persino informazioni specifiche sulle pubblicazioni medesime, si ha la percezione chiara delle difficoltà cui far fronte nella trattazione sistematica dell’argomento.
Con tutte le cautele che la situazione descritta deve
necessariamente suggerire, e sulla scorta del lavoro di ricerca (oltre 1300 testate censite a tutt’oggi) che da oltre vent’anni è svolto dal Centro Internazionale di Ricerca sui Periodici Musicali (CIRPeM),
∗ Questo saggio rappresenta la naturale evoluzione e il completamento di quanto ho scritto sull’argomento negli anni passati. In particolare: Casa Sonzogno tra giornalismo e impresariato, in Casa musicale Sonzogno, a cura di Mario Morini - Nandi Ostali - Piero Ostali, Milano, Sonzogno, 1995, vol. I, pp. 243-290; Alla ricerca dei periodici musicali. Considerazioni in margine alla pubblicazione del catalogo dei periodici musicali delle biblioteche della Campania, “Rivista italiana di musicologia”, XXXII, n. 2, 1997, pp. 367-382; “Criticism - Italy: 1890-1945”, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, 2nd Edition, ed. by Stanley Sadie, London, Macmillan, 2001, vol. 6, pp. 685-686; I periodici musicali del Novecento, in Conservare il Novecento: la stampa periodica, Atti del 2° Convegno nazionale: Ferrara, 29-30 marzo 2001, a cura di Maurizio Messina e Giuliana Zagra, Roma, AIB-Associazione Italiana Biblioteche, 2002, pp. 30-44. 1 Il CIRPeM è l’unico istituto in Europa che si occupa in modo specifico della ricerca sui periodici musicali e di interesse musicale. Nasce nel 1984 per iniziativa di enti pubblici di Parma, dopo che le sue finalità scientifiche sono state definite e approvate dalle massime
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questa occasione si tenta per la prima volta di delineare in un quadro coerente la storia della stampa periodica italiana di specifico “interesse musicale”, dalle origini ai giorni nostri. La classificazione è stata condotta sulla base di pochi e ben definiti elementi per quanto possibile univoci, pur nella ovvia diversità delle situazioni e dei relativi ambiti cronologici: argomento, impostazione, destinazione, appartenenza. LE ORIGINI
La prima pubblicazione periodica italiana che possa dirsi
compiutamente musicale, della quale si abbia notizia, esce a Bologna nel 1823 “a spese della ditta Cipriani e Co., coi tipi di Annesio Nobili”. Il periodico, intitolato “Polinnia europea ossia Biblioteca universale di musica”, in qualche modo preannuncia – sia per l’impostazione e il formato editoriale libresco, per l’assetto sistematico della trattazione – le prime riviste musicologiche che in Italia usciranno solo alla fine del secolo. La sua struttura consueta prevede una prima parte, dedicata ad argomenti di approfondimento organizzati in varie sezioni: Storica (Archeologia, Biografia, Bibliografia), Scientifica (Acustica, Matematica, Estetica, Morale,
organizzazioni internazionali del settore: International Music Library Association (IAML) e Societé Internationale de Musicologie (SIM). Dal 2002 il CIRPeM ha sede nella Casa della Musica di Parma (http://cirpem.lacasadellamusica.it/). L’attività del CIRPeM si esplica in tre direzioni: censimento, raccolta, spoglio e indicizzazione. Il censimento riguarda i periodici musicali e di precipuo interesse musicale italiani dalla fine del XVIII secolo ai giorni nostri. Per ogni periodico viene redatta una scheda nella quale sono forniti due ordini di informazioni: 1) relative al periodico in sé: titolo ed eventuale sottotitolo, periodicità, luogo ed estremi di pubblicazione, fondatore/proprietario, stampatore/editore, estensore/direttore, collaboratori principali, note varie; 2) relative alla sua reperibilità: città, luogo di conservazione, entità del posseduto. L’attività di raccolta ha portato alla costituzione di una biblioteca specializzata aperta alla pubblica consultazione. È in atto la digitalizzazione dell’intera raccolta. L’attività di spoglio e indicizzazione, infine, consiste nella prosecuzione dell’impresa avviata alla metà degli anni Ottanta nell’ambito del Répertoire International de la Presse Musicale, e ora condotta in autonomia. Tale attività, che in passato ha prodotto spogli indicizzati di periodici musicali del XIX secolo, si estende ora ai periodici del XX e XXI secolo, e comprende non solo quelli di argomento strettamente musicale-teatrale ma anche quelli che, per quanto non di settore, rivestono comunque uno specifico interesse per il settore medesimo (quotidiani, periodici di varia cultura, ecc.).
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Terapeutica), Letteraria (Prosa, Poesia, Varietà); e una seconda parte, definita “curioso-dilettevole”, destinata a ospitare considerazioni, cronache e notizie varie che traggono spunto dalla vita musicale quotodiana.
La “Polinnia”, tuttavia, proprio per la sua specificità rigorosa e
la quasi totale assenza di concessioni al gusto per la conversazione disimpegnata che anima tante pubblicazioni periodiche del tempo, non rappresenta l’inizio della tradizione pubblicistica italiana dedicata alla musica, ma resta un caso affatto isolato nella situazione di quegli anni. In realtà, l’evoluzione di una stampa periodica italiana che possa definirsi musicale prende le mosse non da modelli di trattazione sistematica e approfondita e di impostazione libresca, bensì da modelli squisitamente giornalistici. Il momento decisivo è individuabile negli anni 1830-1840, con l’affermazione di un tipo di periodico dedicato ad argomenti artistici e culturali, ma con sempre più spiccata predilezione per la musica teatrale, e con la nascita di testate che a quello stesso modello si ispirano, ma strettamente musicali.
In origine, il fenomeno prende le mosse dalla fortuna delle
varie pubblicazioni sette-ottocentescesempio più illustre è rappresentato dall’“Indice de’ teatrali spettacoli”a a Milano poi Venezia poi Roma dal 1764 al 1823 – vero e proprio bollettino della programmazione dei teatri, perfettamente integrato nel sistema impresariale e del tutto funzionale alle sue esigenze di informazione interna. Per le esigenze del pubblico degli spettatori e degli appassionati bisognerà invece attendere la nascita dei giornali di “belle arti, letteratura, teatri e varietà” che fioriscono nel primo Ottocento: tendenzialmente “miscellanei”, dedicati a vari argomenti genericamente artistici, culturali e di varia informazione, esprimono il gusto per la notizia raccontata e talvolta approfondita, nonché una certa disposizione per la critica, così come noi oggi la intendiamo. Nella cerchia di questi periodici si viene via via precisando un genere che rimarrà inalterato
3 Altri esempi, dal “Giornale dei teatri di Venezia” (1795-1801) all’“Osservatrice fiorentina sugli spettacoli teatrali del carnevale” (1788-1791) al “Foglio periodico e ragguaglio de’ spettacoli musicali” (Roma, 1808-1809). 4 Cfr. Un almanacco drammatico: l’“Indice de’ teatrali spettacoli” 1764-1823, a cura di Roberto Verti, Pesaro, Fondazione Rossini, 1996.
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nei decenni a venire: il giornale teatrale sottotitolo di “Scaramuccia”, periodico fiorentino fondato nel 1853 da Collodi, al secolo Carlo Lorenzini, creatore di Pinocchio. Nell’ambito dei giornali teatrali si forma la prima generazione dei critici italiani che si occupano di musica. Come l’esempio di Collodi suggerisce, la tradizione della critica musicale italiana affonda le radici nella cultura letteraria tout-court: nell’Ottocento, infatti, quasi tutti i critici musicali-teatrali in senso stretto sono di estrazione letteraria, essendo ancora lontani i tempi – salvo eccezioni – nei quali i musicisti di professione riterranno la critica come parte integrante della loro professione. I nomi di letterati e giornalisti di mestiere che nel corso dell’Ottocento dedicano una parte della loro attività anche alla critica musicale, e teatrale-musicale in particolar modo, sono innumerevoli: fra quelli, i nomi più noti sono quelli di Gaetano Barbieri, Giacinto Battaglia, Francesco e Gian Jacopo Pezzi, Luigi Previdali, Tommaso Locatelli, Giuseppe Rovani, Carlo Lorenzini (Collodi), Pietro Cominazzi, Leone Fortis, Enrico Panzacchi; per non parlare di coloro che esercitano anche il mestiere di librettista, come Jacopo Ferretti, Felice Romani e Antonio Ghislanzoni; o Arrigo Boito, che tuttavia costituisce un caso a sé stante di autorevolezza realmente interdisciplinare. Del resto, i modelli che ispirano i nostri giornali musicali-teatrali ottocenteschi si rifanno in varia misura ai modelli letterario-giornalistici rappresentati dalle pubblicazioni che nella seconda metà del Settecento conciliavano la tradizione delle gazzette italiane con il modello letterario borghese e anti-erudito rappresentato dagli inglesi “The Tatler” (1709-11) di Richard Steele e soprattutto
5 Si tratta di periodici di varia natura e destinazione. Ne cito alcuni a mo’ di esempio: “L’Abbreviatore” (Bologna, 1820-?), “Giornaletto ragionato teatrale” (Padova?, 1820-24?), “Rivista teatrale e giornale di mode” (Napoli, 1824-25), “Teatri arti e letteratura” (Bologna, 1824-63), “Il Caffè di Petronio” (Bologna, 1825, 1840-41), “I Teatri” (Milano, 1827-31), “Il Censore universale dei teatri” poi “Il Corriere dei teatri” (Milano, 1829-40), “La Farfalla” (Napoli, 1830-33?), “L’Indifferente” (Napoli, 1830-33?), “Rivista teatrale” (Roma, 1831-35?), “La Moda” poi “Gazzetta dei teatri” (Milano, 1836-1924?), “La Moda” (Venezia, 1832-45), “Il Barbiere di Siviglia” poi “Figaro” (Milano, 1832-48), “Il Pirata” (Milano poi Torino, 1834-55), “Glissons n’appuyons pas” (Milano, 1834-41), “L’Apatista” (Venezia, 1834-37), “Il Gondoliere” (Venezia, 1834-48), “Cosmorama pittorico” poi “Cosmorama” (Milano,1835-1910), “Il Vaglio” (Venezia, 1836-52), “La Fama” (Milano, 1836-71), “La Moda” (Napoli, 1839-44), “Il Bazar” (Milano, 1841-48), “L’Osservatorio” (Bologna, 1850-52), “L’Arte” (Firenze, 1851-60), “Il Trovatore” (Torino poi Milano, 1854-1913), “Scaramuccia” (Firenze, 1853-59, I serie), “L’Eptacordo” (Roma, 1855-71?).
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“The Spectator” (1711-14) dello stesso Steele e, soprattutto, di Joseph Addison. I modelli tradiscono il terreno volutamente antiaccademico nel quale il filone si sviluppa e il tono intenzionalmente lieve dello stile. In questo senso, probabilmente, deve essere inteso il frequente esplicito riferimento al pubblico femminile, quale dedicatario delle pubblicazioni. Anche qui, il modello imprescindibile è fornito da “The Spectator”, per il quale Addison dichiara: “a nessuno tanto gioverà questo giornale come al pubblico femminile”.nso reale della dedica – che forse allude più al tono di generale disimpegno della conversazione che a una specificità rigorosa del target di riferimento – anche in Italia prosperano tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento pubblicazioni di varia natura indirizzate a un pubblico femminile. Molte trattano anche di musica e teatro, quale argomento primario di conversazione e approfondimento legato alle occasioni più rilevanti della società aristocratica e alto-borghese dell’epoca. illuminante, ai nostri fini, una di queste testate – “La Moda”, che esce a Milano nel 1836 – nel 1850 diventerà, al culmine di un processo di logica evoluzione, la “Gazzetta dei teatri”, organo di un’agenzia teatrale e probabilmente la più longeva fra le testate italiane dedicate all’attività musicale-teatrale. A questo argomento specifico è invece dedicata – fin dalla sua nascita, alla metà degli anni 1820 – la più atipica fra le testate che si rivolgono formalmente al pubblico femminile: “Teatri arti e letteratura” (Bologna, 1824-63). Il fatto di non occuparsi in maniera specifica di moda o di argomenti squisitamente femminili rafforza il sospetto che l’indirizzarsi “alle signore italiane” sia un atto certamente non preclusivo, ma piuttosto riferito proprio a quel tono di amena conversazione al quale si è accennato in precedenza. Allo stesso concetto allude il sottotitolo di un altro periodico congenere: il veneziano “Il Gondoliere” (1833-48), che si definisce, per l’appunto, “giornale di amena conversazione”. In tale contesto, non provoca meraviglia che fra gli argomenti di
6 “LoSpettatore”, antologia a cura di Mario Praz, Torino, Einaudi, 1943, 1982, p. 26. 7 Alcune delle testate più rilevanti: “La Donna galante ed erudita. Giornale dedicato al bel sesso” (Venezia, 1786-88), “Il Corriere delle dame” (Milano, 1804-75), “Rivista teatrale e giornale di mode” (Napoli, 1824-25), “Teatri arti e letteratura” (Bologna, 1824-63), “Il Teatro La Fenice. Almanacco galante dedicato alle dame” (Venezia, 1826- ), “La Moda” (Venezia, 1832-45), “La Moda” (Milano, 1836-50).
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mondana e disimpegnata conversazione, il teatro, e con esso soprattutto la sua declinazione musicale, abbia un ruolo primario, come testimonia, del resto, la progressiva specializzazione in tal senso di buona parte di quelle testate, che erano nate, invece, per una destinazione meno specifica. I periodici con queste caratteristiche mantengono pressoché inalterate le loro caratteristiche per tutto il secolo; e per molti versi si collegano direttamente a quei periodici, dedicati a un’informazione ampia, gradevole e disimpegnata, che si moltiplicheranno nei decenni successivi quale diretta conseguenza dell’incremento del numero dei lettori.
Nell’ambito dei giornali teatrali, quelli che più di tutti
preannunciano le pubblicazioni strettamente musicali nascono alla fine degli anni 1820 e prosperano nel decennio successivo. Dopo il già citato “Teatri arti e letteratura”, il caso più specifico è rappresentato da “I Teatri” che esce a Milano dal 21 aprile 1827 al 4 gennaio 1831. “Giornale drammatico musicale e coreografico”, come recita il sottotitolo, esibisce un programma che riflette una specializzazione per quei tempi insolita: dopo una prima parte dedicata a sviluppare argomenti teorici, storici e biografici, la seconda entra nel vivo della cronaca quotidiana, con notizie e giudizi critici riferiti a spettacoli italiani ed esteri, recensioni di edizioni di musica e di letteratura musicale, notizie varie in campo musicale e teatrale, aneddoti e varietà. Un dettaglio assai indicativo consiste nel fatto che tra i recapiti del giornale figurano quelli di “Giovanni Ricordi editore di musica” e “Bartolomeo Merelli corrispondente teatrale”. La circostanza sottolinea il costante e ineludibile intreccio fra l’ambito della produzione e quello dell’informazione, la quale può prosperare solo laddove esistano i presupposti economici per giustificarne la presenza.
Sulla scia dei “Teatri”, nel 1829 vede la luce una delle più
importanti pubblicazioni di quegli anni in campo teatrale: “Il Censore universale dei teatri” (poi “Corriere dei teatri”), diretto e compilato da ensore” si configura fin dall’inizio come una inesauribile miniera di informazioni sulle stagioni teatrali, i cantanti, gli impresari e le dinamiche che governano il mondo della produzione
8 Nato a Venezia nella seconda metà del Settecento, ivi morto nel 1850, è letterato, librettista, impresario e, naturalmente, giornalista teatrale.
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teatrale, con le compagnie, i rapporti tra gli artisti, e di questi con la committenza, e così via. Prividali, intessendo una rete di rapporti con corrispondenti italiani ed esteri, e ovviando alle carenze con notizie attinte da altri periodici, riesce a fornire una visione generale e, per quanto possibile, completa dell’attività teatrale (stagione per stagione, teatro per teatro, opera per opera) in Italia prima di tutto, e nelle principali piazze europee, in secondo luogo.
In quegli stessi anni, a Milano, vede la luce “Il Barbiere di
Siviglia”, creatura di Giacinto Battaglia, singolare figura di imprenditore e giornasottotitolo “Giornale di musica, teatri e varietà” – annovera la musica quale argomento principale di trattazione. Non a caso, nel 1842, Giovanni Ricordi affiderà a Battaglia il varo della sua “Gazzetta musicale di Milano”. “Il Barbiere”, che dopo due anni assumerà la denominazione “Figaro”, ha una struttura analoga a quella delle altre testate di argomento soprattutto o esclusivamente teatrale nate negli anni 1830: la stessa struttura che avranno le prime testate strettamente musicali del decennio successivo. Di quattro pagine in tutto, il giornale, di norma, si apre con un lungo articolo su argomenti letterari, musicali o artistici, firmato dal responsabile o da un collaboratore di prestigio; nel taglio basso della prima pagina o in quelle interne è collocata la sezione teatrale locale (in genere sotto forma di appendice); brevi articoli di vario argomento (notizie, aneddoti, facezie, varietà, piccole polemiche) riempiono gli spazi delle pagine interne e spesso anche della quarta; quest’ultima, in genere, è riservata alle rubriche di notizie (in gran parte notizie teatrali di varia entità e provenienza). Questo tipo di giornale, al contrario dei “Teatri” e del “Censore”, è l’espressione della nouvelle vague del giornalismo 9 Giacinto Battaglia (Milano, 1803-1861), laureato in medicina, si dedica invece a giornalismo e al teatro. Nel 1827 collabora con Gaetano Barbieri alla redazione dei “Teatri”. Subito dopo fonda i periodici “La Vespa”, “La Farfalla” e “L’Indicatore lombardo” (fra i principali giornali liberali dell’epoca). Quest’ultma testata si fonde poi con il “Ricoglitore italiano e straniero” diventando “La Rivista europea”, che Battaglia dirigerà fino al 1844. Nel frattempo fonda e inizialmente dirige “Il Barbiere di Siviglia” (1832-34) che poi cambia il nome in “Figaro” (1835-48). È redattore della “Gazzetta musicale di Milano” dell’editore Ricordi dall’inizio delle pubblicazioni, nel 1842, fino al 1846. Inoltre scrive romanzi e drammi. La passione per il teatro drammatico lo porta, nel 1844, a dirigere il Teatro Re di Milano, dove collabora alla conduzione della Compagnia drammatica Lombarda.
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italiano (agile, pragmatico, antiaccademico) e mostra una notevole adattabilità alle circostanze esterne. Abbandonata l’impostazione libresca dei vecchi periodici, viene adottata quella tipica delle gazzette che escono con frequenza più o meno quotidiana. Emblematica, in questo senso, la trasformazione del veneziano “Il Gondoliere”, che inizialmente – con il sottotitolo “Giornale di amena conversazione” – adotta il formato libresco di 16x24,5 cm., a una sola colonna, per poi trasformarlo in quello di 23,5x33,5 cm., su due colonne, quando il sottotitolo muta in “Giornale di scienze, lettere, arti, mode e teatri”, allineandosi alle tante testate che proprio allora – prima metà degli anni 1830 – iniziano a dedicare maggiore spazio e attenzione all’attività musicale e teatrale. Il formato libresco in 16° resta prerogativa di qualche pubblicazione che tenacemente si mantiene impermeabile alle variazioni di gusto e costume, come il “Corriere delle dame” di Milano, che rimane quasi invariato negli oltre settant’anni di vita, e “Teatri arti e letteratura”, simbolo di una persistenza – legata, non a caso, a un’unica figura di proprietario ed estensore – ormai fuori dal tempo. Significativamente, il formato libresco a una sola colonna verrà poi assunto nuovamente a fine secolo dalle prime riviste musicologiche: dall’“Archivio musicale” di Napoli alla “Rivista musicale italiana” di Torino, istituendo un modello che dura ancora oggi, quasi a rimarcare, anche nel formato, la distanza dalle tante pubblicazioni di impronta “giornalistica” indirizzate a un pubblico non specialista. I GIORNALI MUSICALI
Sul modello “giornalistico” rappresentato negli anni 1830 dal
“Barbiere di Siviglia” e dalle altre testate nate in quegli anni si sviluppa, tra la fine di quel decennio e l’inizio di quello successivo, una stampa periodica propriamente musicale, che si differenzia dall’unicum rappresentato dalla citata “Polinnia europea” e, almeno in parte, dai giornali teatrali coevi. A differenza della “Polinnia”, i periodici più strettamente musicali che nascono negli anni 1840 esibiscono una struttura meno sistematica e suggeriscono una lettura meno impegnata; rispetto, invece, a quanto accade nei giornali teatrali, la storia, l’analisi e la teoria si affiancano alla cronaca e alla
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critica degli eventi quotidiani. Il nuovo filone nasce dalla coincidenza di poche e occasionali iniziative che toccano alcune delle città italiane musicalmente all’avanguardia: Napoli, Firenze, Milano. La “Rivista musicale di Firenze” (1840) e la “Gazzetta musicale di Milano” (1842), nascono in qualche modo preannunciate, alla lontana, dalla fugace apparizione di una “Gazzetta musicale” (1838) che a Napoli precede di quindici anni la più famosa “Gazzetta musicale di Napoli” dell’editore Teodoro Cottrau. Pur non trattandosi, come già detto, delle prime pubblicazioni periodiche che si occupano di musica e tantomeno di teatro musicale, sono queste che costituiscono il modello per le successive pubblicazioni analoghe sino alla fine del secolo: dopo la “Rivista” fiorentina e la “Gazzetta” milanese, le testate di riferimento sono “L’Italia musicale” (Milano, 1847-59), la sopra citata “Gazzetta musicale di Napoli” (1853-68), la “Gazzetta musicale di Firenze” (1853-56), “L’Armonia” (Firenze, 1856-59), “Boccherini” (Firenze, 1862-82), “Il Mondo artistico” (Milano, 1865-1914). “Boccherini”, in particolare, è un caso a sé stante e degno di menzione. Organo ufficiale della Società del Quartetto di Firenze, rappresenta il primo caso di riferimento esplicito e deliberato – a livello della testata, in un’epoca di denominazioni generiche o legate all’attualità musicale (“Il Barbiere di Siviglia”, “Il Pirata”, “Il Trovatore”, ecc.) – a quella prospettiva storica che costituirà il fondamento della futura musicologia. Con il periodico fiorentino, la musica del passato viene per la prima volta assunta quale insegna di una pubblicazione periodica italiana, in un contesto generale ancora orientato, per la gran parte, alla dimensione musicale contemporanea. Anche “Boccherini”, come i periodici di maggior rilievo nei decenni intorno alla metà del secolo, è l’espressione di un editore muNello stesso periodo, accanto alle testate che fanno riferimento a quel particolare settore della realtà produttiva, nascono anche periodici legati ad agenzie teatrali, vale a dire alle imprese economiche che trovano una propria solida plausibilità nel florido mercato degli artisti, soprattutto di canto. In particolare, alcune testate, prima autonome
10 “Gazzetta musicale di Milano” di Ricordi, “L’Italia musicale” di Lucca, “Gazzetta musicale di Napoli” di Cottrau, “Gazzetta musicale di Firenze” “L’Armonia” e “Boccherini” di Guidi; a questi si aggiungeranno più avanti “Il Teatro illustrato” e “La Musica popolare” di Sonzogno.
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nella formdipendenza da un’agenzia (è il caso della torinese poi milanese “Il Trovatore”, e delle milanesi “Gazzetta dei teatri” e “Il Mondo artistico”); altre, invece, restano formalmente indipendenti, per quanto nel modo stesso di organizzare l’informazione lascino sospettare un “interesse di fatto” (come le bolognesi “Teatri arti e letteratura” e “L’Arpa”); altre ancora, infine, nascono direttamente come veri e propri giornali di agenzia (è il caso dell’“Arte” di Firenze, dell’“Asmodeo” poi “Gazzetta teatrale italiana” e della “Rivista teatrale melodrammatica”, entrambe di Milano). Se a queste circostanze si aggiungono le evidenti relazioni stabilite da giornali teatrali, anche nati nei decenni precedenti, con le strutture e i vari soggetti legati alla produzione artistica, si può affermare, con tutta la sommarietà che le generalizzazioni comportano, che gran parte dei periodici italiani di interesse musicale nati nel corso dell’Ottocento (e in ogni caso sicuramente i maggiori tra quelli) hanno trovato, fin dal loro apparire o successivamente, i presupposti per la loro esistenza e il loro fondamento economico nei settori della produzione di spettacoli, o del mercato editoriale, o di quello dell’intermediazione. A tale riguardo, l’osservazione più ricorrente riguarda il tasso di credibilità che possa venire accordato a periodici dipendenti da soggetti economicamente impegnati nello stesso settore al quale i periodici stessi sono dedicati: su questo aspetto mi soffermerò brevemente in sede di conclusioni.
Alla metà del secolo, dunque, il panorama dell’informazione di
argomento musicale in senso lato annovera, in generale, testate che si occupano esclusivamente di musica nelle sue varie espressioni (giornali musicali), testate che si occupano in modo esclusivo dell’attività soprattutto dei teatri (giornali teatrali e giornali di agenzie), testate che si occupano saltuariamente dell’attività musicale
11 Sulla reale estraneità agli interessi economici legati alla produzione musicale e teatrale da parte di periodici formalmente indipendenti nati nella prima metà dell’Ottocento esistono a mio avviso forti dubbi, che trovano il loro fondamento in due considerazioni: la prima, di natura per così dire indiziaria, riguarda la tendenza abbastanza diffusa a organizzare l’informazione più spicciola in modo da fornire un vero e proprio bollettino delle disponibilità di artisti sulla piazza, con il dettagliato resoconto di arrivi e partenze; la seconda, che definirei probatoria, concerne i frequenti avvisi in cui gli estensori si propongono in qualità di “corrispondenti teatrali”, vale a dire come figure di intermediazione soprattutto tra cantanti e gestori di teatri.
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di teatri e di altre realtà musicali (giornali miscellanei, nelle versioni quotidiana e periodica).
Con l’unità d’Italia, il panorama generale dell’informazione
viene sconvolto da una grande quantità di testate di ogni tipo. Nascono i primi quotidiani che possono dirsi a pieno titolo nazionali, e, rispetto all’epoca precedente, l’evoluzione si misura in termini quantitativi. Il campo d’azione dei periodici non si misura più su scala locale, ristretto alla città o al ducato o al piccolo regno: se un periodico come “La Fama” di Milano negli anni 1850 esce con una tiratura di 1000 copie, solo vent’anni dopo, il più diffuso quotidiano italiano, “Il Secolo”, ne stamperà 30 mila, e alla fine dell’Ottocento addirittura 100 mila. A quell’epoca, il mercato legato alla musica è già di straordinarie proporzioni: nella prima metà del secolo nascono decine di nuovi teatri, anche nei centri minori; e, per limitarci alla sola produzione operistica, si producono in media 40-50 titoli nuovi ogni anno solo in Italia. Un settore produttivo così ampio e in continuo sviluppo, nonché pronto ad aprirsi a nuove fasce di pubblico, necessita di un sistema di informazione altrettanto ampio ed evoluto. A questa esigenza risponde pienamente il grande sviluppo della stampa di informazione nella seconda metà del secolo. In tale situazione in rapido sviluppo, l’elemento nuovo è costituito dal giornale miscellaneo, che esce con frequenza quotidiana o periodica. Il potere di attrazione esercitato su critici e cronisti musicali dalla moltitudine di quelle nuove pubblicazioni con diffusione non più limitata ed elitaria, ma di massa (sia pure nell’accezione che il termine può avere nell’Italia della seconda metà dell’Ottocento), cambia la funzione e l’importanza dei giornali musicali, che a poco a poco vengono abbandonati dai collaboratori più accreditati. Da strumento di élite la stampa periodica si è evoluta nella direzione della progressiva volgarizzazione del messaggio, con strumenti di comunicazione di agile struttura e dalla prosa semplice e stringata, con molte notizie e illustrazioni. Nel 1892, un periodico atipico come “Il Teatro illustrato” dell’editore Sonzogno, che cerca di far convivere piacevolezza e riflessione, cronaca e storia, critica e réclame, è ormai anacronistico. Lo stesso Edoardo Sonzogno, decretando nel dicembre 1892 la fine del periodico, chiarisce con efficacia i termini generali della questione, ripromettendosi l’impiego «di mezzi più spediti – come vuole la rapidità delle comunicazioni dei nostri giorni – più agevoli e
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più idonei a penetrare nella massa del pubblico, di quello che non potesse un organo letterario-musicale voluminoso comeContestualmente, Sonzogno annuncia che le funzioni assolte fino ad allora dal “Teatro illustrato” sarebbero passate al “Secolo illustrato”, supplemento periodico del “Secolo”, il maggiore quotidiano italiano, di proprietà dello stesso editore. All’epoca, sono ormai scomparsi quasi tutti i maggiori esponenti della prima generazione di critici italiani che possano dirsi propriamente musicali – i più insigni: Abramo Basevi, Girolamo Alessandro Biaggi, Raimondo Boucheron, Luigi Ferdinando Casamorata, Francesco D’Arcais, Filippo Filippi, Alberto Mazzucato, Armando Picchi, Andrea Picchianti, Pasquale Trisolini, Geremia Vitali – e si afferma la generazione dei critici nati intorno alla metà del secolo, tra i quali: Arrigo Boito, Eugenio Cecchi (pseudonimo “Tom”), Achille De Marzi, Giuseppe Depanis, Amintore Galli, Gino Monaldi, Aldo Noseda (pseudonimo “Il misovulgo”), Primo Levi, Giovanni Battista Nappi, Enrico Panzacchi, Lorenzo Parodi, Alfredo Soffredini, Michele Uda, Ippolito Valetta (pseudonimo di Ippolito Franchi Verney). I nuovi critici cominciano a privilegiare i quotidiani e i periodici d’informazione; coloro i quali, invece, privilegiano un approccio alla musica che si può ormai definire “musicologico”, si creano un proprio spazio nei nuovi periodici specialistici.
In tal modo, alla fine del secolo, sono già abbozzate a grandi
linee le direttrici che seguirà la pubblicistica musicale novecentesca, con la divisione tra un prodotto cólto, riservato agli addetti ai lavori, e uno – assai più vario e ampio – di carattere divulgativo, destinato soprattutto alla crescente massa degli appassionati. All’inizio del Novecento, dunque, la situazione italiana presenta alcune testate che, riadottando la vecchia struttura e impostazione libresca, a poco a poco si staccano dalla vita musicale di tutti i giorni, per dedicarsi alla ricerca e all’approfondimento, e un vasto campionario di pubblicazioni differenti che si occupano della cronaca e della critica riferita all’attività di teatri, sale da concerto, editori e agenzie musicali.
12 LA REDAZIONE, Ai cortesi lettori, “Il Teatro illustrato”, XII, n. 178, dicembre 1892, p. 178.
M. Capra: La stampa ritrovata: duecento anni di periodici musicali IL PRIMO NOVECENTO
Il Novecento musicale nasce nel segno della crescita
quantitativa e della moltiplicazione dell’offerta. La musica, e il teatro musicale in particolare, che fin dal secolo precedente è la principale industria italiana, deve la sua posizione di preminenza alla prontezza con cui coglie le variazioni del gusto e le trasformazioni sociali. Così, all’inizio del secolo, un giornale di agenzia preannuncia con gusto del paradosso che la musica si sarebbe prima o poi legata al cinematografo, la grande novità dell’ultimo decennio, chiamando in causa tutte le novità del secolo nuovo: la commercializzazione, la rivoluzione tecnologica, l’invadenza della réclame, la ricerca spasmodica della novità a ogni costo e, prima di tutto, l’incremento e, e in particolar modo ai primi due terzi, il nuovo secolo dispiega un’impressionante varietà di offerte musicali, che la stampa periodica ha il compito di illustrare, diffondere e sostenere.
Anche dal punto di vista dei rapporti con il sistema della
produzione, i periodici del primo Novecento sembrano anticipare l’evoluzione che il settore avrà lungo i successivi cento anni. Da una parte, testate non direttamente o non troppo legate alle forze produttive in campo (le testate musicologiche); dall’altra, testate che nascono e prosperano come conseguenza di quel sistema produttivo: un sistema che alimenta un mercato infinitamente più ampio e più vario rispetto a quello di pochi decenni prima, e per di più arricchito dall’autentica novità dell’epoca – la musica riprodotta meccanicamente – che in questo modo viene ad affiancarsi a quella dal vivo. Ma all’inizio del secolo, il mondo della produzione è ancora rappresentato soprattutto dagli editori musicali e dalle forze direttamente impegnate nel processo produttivo: i teatri, i residui del sistema impresariale, le agenzie. Dal punto di vista della stampa periodica, le testate espressione di case editrici – che nell’Ottocento avevano guidato la crescita del settore – nel nuovo secolo perdono rapidamente d’importanza fin quasi a scomparire. Terminata la sessantennale vicenda della gloriosa “Gazzetta musicale di Milano”
13 GUSTAVO MACCHI, Musica cinematografica. (Riflessioni estive), “Il Mondo artistico”, XLII, n. 35-36, 11 agosto 1908, p. 1.
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(1842-1902), l’editore Ricordi affida l’immagine dell’azienda a nuove riviste assai più accattivanti, ma del tutto prive di rilievo critico, quali “Musica e musicisti” (1902-05), formalmente erede diretta della vecchia “Gazzetta”, e poi “Ars et Labor” (1906-12): mensili di grande raffinatezza grafica, le cui copertine sono firmate dai maggiori illustratori dell’epoca, che sfruttano ampiamente la novità rappresentata dalla riproduzione fotografica. Proprio in queste pubblicazioni si affaccia in modo ricorrente un ambito fino ad allora solitamente escluso dai periodici di argomento musicale: vale a dire quella musica cantata, di origine non colta e destinata all’intrattenimento di un pubblico ampio e indifferenziato, che poi si definirà musica leggera.
A differenza di quanto accade alle testate pubblicate da editori
musicali, quelle che sono espressione di agenzie, anche nel Novecento – almeno per i primi decenni, nei quali ancora forte si mantiene il sistema organizzativo impresariale –, dimostrano una notevole vitalità. Organizzati come bollettini di scuderia, con pochissime immagini, i giornali di agenzie, accanto ad ampi articoli dedicati ad argomenti di stretta attualità artistica o gestionale, esibiscono un vastissimo notiziario che illustra la straordinaria ampiezza del mercato internazionale della produzione musicale.
Se i due precedenti tipi di periodici sono espressione di realtà
economiche e produttive nate e sviluppatesi nel secolo precedente, del tutto novecentesche sono invece le pubblicazioni legate a particolari categorie professionali e lavorative. Col nuovo secolo, la tendenza all’associazionismo già manifestatasi nell’Ottocento acquista forza e coscienza nazionale: così nascono organi e bollettini specifici, quali “La Rinascita musicale”, dell’Associazione dei Musicologi Italiani e della Federazione dei R.R. Istituti Musicali (Parma, 1909-12), o il “Bollettino dell’Associazione dei musicologi italiani” (Parma, 1909-21). Entrambe le testate esprimono lo spirito di categoria e la coscienza professionale maturata proprio agli inizi del nuovo secolo nell’ambito della giovane musicologia italiana. Dello stesso spirito e coscienza, ma in senso più marcatamente corporativo, saranno poi
14 Alcune testate tra le più diffuse, già citate in precedenza: “Il Mondo artistico” (Milano, 1867-1914), “Rivista teatrale melodrammatica” (Milano, 1863-1934), “Asmodeo” poi “Gazzetta teatrale italiana” (Milano, 1872-1914), “La Rassegna melodrammatica” (Milano, 1899-1917, 1919-34, 1946–).
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espressione le riviste nate nel periodo fascista, quali la “Rivista nazionale di musica” (Roma, 1920-43) o il “Bollettino dei musicisti” poi “Il Musicista”, rivista del Sindacato Nazionale Fascista dei Musicisti (Roma, 1933-43).
Il versante dei periodici dedicati allo studio e alla ricerca,
che non esprimono – almeno direttamente – interessi legati al mondo della produzione, è rappresentato dalle riviste musicologiche. Ampiamente prannunciate dai principali giornali musicali usciti nel secolo precedente, le riviste che fanno riferimento alla giovane disciplina musicologica nascono negli ultimi anni dell’Ottocento: il pionieristico “Archivio musicale” (Napoli, 1882-84) prima di tutto, e poi “La Cronaca musicale” (Pesaro, 1896-1917) e, soprattutto, la “Rivista musicale italiana” (Torino poi Milano, 1894-1932, 1936-43, 1946-55), alla quale si deve buona parte dell'affermazione della musicologia italiana. La matrice positivista che ha aperto e avviato il nuovo campo di studi viene fatta oggetto, fin dai primi anni del nuovo secolo, di una vivace reazione idealista. Il modello crociano, in particolare, segna in vario modo tutte le riviste dei primi decenni del secolo, e anche quelle musicali non ne sono immuni: “La Nuova musica”, già attiva a Firenze dal 1896, ne è l’esempio. Più incline, invece, alla concreta realtà musicale nazionale ed estera, nel 1912 esce, ad Alessandria e poi dall’anno successivo a Torino, “La Riforma musicale”; e con lo stesso spirito, nel 1918, nasce una nuova rivista fiorentina: “La Critica musicale”.
In quello stesso periodo, nel 1916, viene pubblicata a Roma
“Ars nova”, rivista della Società Italiana di Musica Moderna. La nuova testata costituisce un caso sé stante, come suggerisce l’elenco dei fondatori: sono i nomi di musicisti di professione – Alfredo Casella, Ildebrando Pizzetti, Gian Francesco Malipiero, Carlo Perinello, Vittorio Gui, Vincenzo Tommasini – a configurare una grande novità nell’ambito della critica musicale italiana. Se nell’Italia dell’Ottocento era pressoché impensabile che i maggiori compositori o musicisti italiani svolgessero un ruolo anche in sede critica (come
15 Sulle riviste musicologiche novecentesche, si veda in particolare: PIERO RATTALINO, Le riviste musicali italiane del Novecento. I: dal 1900 al 1918, “Rassegna musicale Curci”, XX, n. 2, giugno 1967, pp. 66-80; ID., Le riviste musicali italiane del Novecento. II: dal 1918 al 1936, ivi, n. 3, settembre 1967, pp. 142-157; ID., Le riviste musicali italiane del Novecento. III: dal 1936 al 1967, ivi, n. 4, dicembre 1967, pp. 214-230.
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accadeva in Germania o in Francia, ad esempio: i nomi di Schumann e di Berlioz sono i primi che vengono alla mente), nel Novecento la situazione cambia radicalmente: i musicisti della nuova generazione considerano l’attività critica quale complemento necessario alla loro attività primaria. La novità è dirompente rispetto a una tradizione che, fin dall’inizio, aveva annoverato soprattutto letterati con più o meno profonde cognizioni musicali: una tradizione nella quale i musicisti veramente di professione (come era stato il caso di Alberto Mazzucato) erano da considerarsi delle eccezioni. Ma ora, agli inizi del nuovo secolo, iniziano a occuparsi di critica militante anche figure di prima grandezza: i nomi di Pizzetti, Casella, Malipiero, Castelnuovo-Tedesco e, più tardi, di Dallapiccola e Gavazzeni costituiscono alcuni dei casi più emblematici. Il loro esempio ha costituito il modello per l’attività di tanti musicisti che dopo di loro hanno praticato la critica in modo non occasionale: da Roman Vlad a Guido Turchi, da Giacomo Manzoni a Franco Evangelisti ad Armando Gentilucci.
L’attività critica dei musicisti di professione si è esplicata sia
sulle pagine dei quotidani e dei periodici miscellanei, sia sulle riviste specialistiche. Tra queste ultime, un ruolo primario nella storia italiana è svolto dalla “Rassegna musicale”, la più importante rivista italiana della prima metà del Novecento. La “Rassegna” nasce da una testata pre-esistente, “Il Pianoforte”, pubblicata dal 1920 a Torino sotto la direzione di Guido Maggiorino Gatti. Inizialmente limitata all’ambito pianistico, la rivista si apre ben presto alle più varie trattazioni teoriche, storiche ed estetiche, fornendo ampie informazioni sulla vita e le correnti musicali in campo internazionale. Quando, nel 1928, si trasforma nella “Rassegna musicale”, l’impostazione della rivista viene ulteriormente puntualizzata, mantenendosi lontana da ogni tentazione nazionalistica e restando aperta sia all’influsso dell’idealismo di Benedetto Croce, sia alle tendenze moderniste ed europeiste. Negli anni 1830 e 1840, sempre sotto la guida di Guido M. Gatti, la “Rassegna”è la rivista musicale italiana culturalmente più avanzata e ricca di fermenti vitali. Tra i suoi collaboratori figurano i migliori critici e studiosi italiani; tra gli altri: Ferdinando Ballo, Alfredo Casella, Attilio Cimbro, Andrea Della Corte, Gianandrea Gavazzeni, Gian Francesco Malipiero, Alberto Mantelli, Guido Pannain, Alfredo Parente, Gino Roncaglia, Luigi Rognoni, Luigi
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Ronga, Gastone Rossi-Doria, nonché Massimo Mila e Fedele d’Amico, che saranno i maggiori esponenti della critica italiana del secondo dopoguerra. DAL SECONDO DOPOGUERRA A OGGI
La seconda metà del secolo porta consistenti novità nel
panorama dei giornali musicali italiani. La situazione generale è segnata dalla rapidissima evoluzione dell’industria discografica e dalla nascita di decine di riviste ad essa unicamente o soprattutto dedicate. Il fenomeno, per le caratteristiche e i limiti dei supporti di riproduzione, ha inizialmente favorito i generi musicali più agili e frazionabili, facilmente replicabili e commercializzabili (la cosiddetta musica leggera); ha altresì favorito la diffusione di culture, generi musicali, autori e interpreti prima ignorati (come la musica afro-americana e la musica etnica); ha infine determinato la nascita di generi ad hoc (la disco-music ne è solo un esempio). Le pubblicazioni periodiche hanno prontamente recepito la portata del fenomeno sia adattandosi ai nuovi generi musicali che la tecnologia della riproduzione ha creato o favorito, sia dedicandosi in modo specifico ai prodotti di quella stessa tecnologia. Con l’avvento del compact-disc, inoltre, alcuni periodici hanno mutato funzione: con la diffusione del fenomeno delle riviste con CD allegato, ciò che in precedenza era un incentivo all’acquisto della rivista ora diventa l’oggetto principale della vendita, e la rivista è talvolta ridotta a pretesto necessario per giustificare la vendita del CD come pubblicazione periodica. In questo modo, in realtà, le pubblicazioni periodiche rinverdiscono l’antica funzione di supporto alla vendita e alla diffusione di altri prodotti. Quella stessa funzione, nell’Ottocento, configurava un particolare tipo di periodico, quale, a titolo d’esempio, “La Musica popolare” (Milano, 1882-85) dell’editore Sonzogno, che aveva il compito di diffondere nella cerchia di un pubblico di musicisti dilettanti un repertorio di composizioni adatte all’esecuzione domestica. Il periodico, che constava di quattro pagine, fungeva da copertina dell’inserto musicale, che era senza dubbio l’oggetto principale della vendita.
Con queste premesse, si può sostenere che, grazie alla funzione
globalizzatrice della riproduzione musicale, dalla seconda del
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Novecento diventi sempre più chiara la tendenza da parte dei periodici di occuparsi ampiamente di aspetti, generi musicali e autori prima confinati a realtà geografiche e culturali ben definite. Il jazz, in particolare, riceve una consacrazione tangibile nella realtà italiana con la pubblicazione della pionieristica “Musica jazz”, che esce a Milano nel 1945; e poi con “Tempo di jazz”, pubblicata a Torino nel 1962, a testimonianza di un rapido radicamento con esiti istituzionali, essendo l’organo della Federazione Italiana Musica Jazz. Fra i generi musicali che ricevono impulso e diffusione dal fenomeno della musica riprodotta sono senza dubbio le esperienze di matrice anglosassone che alimentano la cultura giovanile della seconda metà del Novecento. A quel contesto si riferiscono le testate nate negli anni 1960: settimanali quali “Giovani”, “Ciao amici”, “Big” (le ultime due si uniscono nel 1969 sotto il titolo “Ciao Big”, che subito dopo muta in “Ciao 2001”) delineano un modello di rivista che individua nella realtà musicale un polo di attrazione intorno al quale far gravitare l’intero universo giovanile dell’epoca, con tutte le sue implicazioni psicologiche e sociali. In queste riviste, tendenzialmente miscellanee, rivive, pur con le ovvie differenze, quel modello ottocentesco di periodico miscellaneo nel cui contesto la musica esercitava una funzione catalizzatrice dell’interesse e dell’attenzione. A questi periodici, solitamente, non si adattano i metodi della critica tradizionale, che considerano la musica dal punto di vista storico, tecnico e stilistico, bensì quelli dell’approccio cronistico, biografico, di costume. Il centro di interesse si sposta dalla musica “in sé” ai suoi interpreti, con la conseguente emarginazione degli autori, quando essi non coincidano con gli interpreti stessi. Sotto questo aspetto particolare, tuttavia, tali periodici non fanno che adottare in modo forse più sistematico quel tipo di approccio alla realtà musicale che già contraddistingue buona parte degli omologhi non specialistici di area colta. Comunque sia, tale qualità di approccio delinea – pur con significative eccezioni, in particolare dalla fine degli anni 1970, nella direzione di una disposizione più specialistica e incentrata sulla muricorrente nelle pubblicazioni che dagli anni 1960 in poi alimentano l’universo popular.
16 Alcune testate, a titolo d’esempio: il già citato “Laboratorio musica” (1979), “Strumenti musicali” (1979), “Fare musica” (1980), “Guitar Club” (1984),.
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Dall’esperienza di quelle prime testate, nascono, nel decennio
successivo, nuove pubblicazioni nelle quali ancor più si puntualizza la tendenza a investire la cultura musicale di significati e funzioni che vanno oltre lo stretto specifico musicale. All’inizio degli anni 1970 nascono “Muzak” e “Gong”, nel cui ambito matura la prima generazione di critici musicali pop-rock e una coscienza storica e retrospettiva dei fenomeni musicali. In quelle riviste la musica si carica di valenze politiche e sociali in gran parte inusitate nella storia della pubblicistica musicale italiana, se si eccettuano – pur con le ovvie differenze di segno – i periodi di più forte emergenza nazionalistica che nel corso dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento hanno visto la musica elevata a simbolo o pretesto. Il rapporto musica/politica e musica/società, così come in gran parte matura nelle testate popular dei primi anni 1970, si differenzia, ad esempio, da come esso si delinea in una rivista musicologica attuale, “Musica/Realtà”, che assume l’esperienza musicale non tanto come rappresentazione ideale di istanze politiche e sociali, ma piuttosto come oggetto di analisi secondo un’impostazione metodologica che da quelle istanze politiche e sociali deriva. Tornando alle testate indirizzate al pubblico giovanile degli anni 1960/1970, da quelle prime esperienze l’universo popular si è espanso in una miriade di testate in continua evoluzione e rinnovamento, in stretta connessione – come si conviene alla stampa periodica – con i nuovi fenomeni che animano la vita e il mercato dellaLa rilevanza sociale del fenomeno nella sua globalità è ribadita dall’interesse – certamente anche motivato da ragioni di marketing nei confronti di particolari categorie di lettori – dimostrato negli ultimi anni da quotidiani nazionali attraverso pubblicazioni apposite: da l “Manifesto”.
17 Alcune testate, fra le tante: “Super sound” poi “Nuovo sound” (1972), “Muzak” (1973), “Gong” (1974), “Popster” (1975) poi “Rockstar” (1980), “Il Mucchio selvaggio” (1977), “Rockerilla” (1978), “Buscadero” (1980), “HM: Heavy metal. Heavy metal & hard rock” (1986), “Hard ’n’ heavy” (1987), “Metal shock” (1987), “Rolling stone” (1980, 2003), “Rumore” (1992), “Jam” (1994), “Metal hammer” (1994), “Blow up” (1995, 1997), “Feedback” (1996), “Psycho” (1997), “Rocksound” (1998), “Tribe generation” poi “Tribe magazine” (1998), “Metalliko” (2001), “Il Mucchio extra” (2001). 18 Pubblicato dal marzo 1995, con il titolo “Musica rock & altro”, al dicembre 2004. 19 Il primo numero è del 13 Giugno 1998.
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In questo contesto, animato dall’esigenza di dare soddisfazione
a una molteplicità di esigenze, accanto alle forme consuete e tradizionali della stampa periodica musicale si sviluppano modelli e strumenti di informazione del tutto nuovi: le cosiddette fanzines (contrazione di “fan magazine”). Le fanzines nascono come espressione dei “fan clubs”, vale a dire di gruppi di persone unite dalla passione per un genere musicale o un interprete; e si concretizzano nelle forme editoriali più varie: da quelle più artigianali a quelle stampate, fino alle edizioni elettroniche (webzines).
In parallelo con il filone dedicato alle esperienze popular, che
più direttamente esprime le novità e le tendenze degli ultimi decenni, dagli anni 1960 in poi si è sviluppato un filone che invece si rifà ai settori tradizionali della pubblicistica musicale. In un contesto grafico attraente, queste riviste si rivolgono al pubblico degli appassionati della cosiddetta musica classica, vale a dire di un repertorio vocale e strumentale di ambito cólto che spazia grosso modo dal Settecento ai primi decenni del Novecento. L’intervista, l’articolo di approfondimento su particolari aspetti tecnici, stilistici e storici, la critica e la cronaca teatrale e concertistica, la recensione discografica costituiscono il palinsesto di questi periodici, che – con varietà di intenti e qualità di esiti – da vari decenni costituiscono il tramite privilegiato fra il mondo della produzione musicale e il suo pubblico. Pur nella eterogeneità del settore – rappresentato da testate rilevanti nella storia italiana della seconda metà del Novecento, quali “Discoteca”, “Musica viva”, “Musica e Dossier”questi periodici ripropongono, con le ovvie differenze, è sostanzialmente quello del giornale musicale-teatrale ottocentesco, di taglio divulgativo e dedicato a un pubblico di lettori appassionati e consapevoli. Queste caratteristiche sono condivise anche da altre testate, le quali, in questa trattazione, sono inserite in categorie differenti: nel caso, in particolare, di alcune delle riviste con CD
20 Alcuni titoli, fra i tanti: “Tempo e musica” (Milano, 1958-60), “Discoteca” (Roma e poi Milano, 1960-78, 1979-83), “L’Opera” (Milano, 1965-59), “Musica viva” (Milano, 1977-92), “Piano time” (Roma, 1983–), “Gazzetta del Museo teatrale alla Scala” (Milano, 1985-87), “Musica e dossier” (Firenze, 1986-93), “L’Opera: mensile per il mondo del melodramma” (Milano, 1987–), “La Rivista illustrata del Museo teatrale alla Scala” (Milano, 1988-96).
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allegato, delle quali si dirà fra poco, proprio quest’ultimo elemento è stato ritenuto più caratterizzante ai fini della classificazione.
In questo stesso ambito di divulgazione, ma in una categoria a
sé stante, è “Il Giornale della musica” (Torino, 1985–), il principale periodico italiano di informazione musicale. Contraddistinto da una decisa preponderanza dell’aspetto “giornalistico” (cronaca, inchiesta, intervista, informazione), e senza alcuna concessione alle abitudini di lettori distratti, curiosi o semplicemente appassionati, il mensile torinese appare indirizzato a soddisfare le esigenze di informazione di un pubblico consapevole e di addetti ai lavori.
A questo stesso target, ma di impostazione del tutto differente,
si riferisce un manipolo di testate che, pur nella diversità degli oggetti trattati, fanno coincidere l’intento divulgativo (nell’accezione propria del termine) con una impostazione e una destinazione non banalmente commerciali. Si tratta di testate che spesso affrontano argomenti specialistici rapportandoli alla realtà del dibattito e della vita musicale quotidiana. In modo del tutto significativo, i settori musicali di riferimento di queste testate sono, spesso, fra quelli meno diffusi e popolari, almeno nella loro declinazione più rigorosa: dalle varie espressioni della musica cont
Come anticipato, il panorama della seconda metà del secolo è
segnato anche dalla nascita di un filone di periodici dedicato in modo specifico ai prodotti dell’industria discografica, che si affianca a quel filone di riviste musicali che a quei prodotti comunque dedicano uno spazio più o meno rilevante. Proprio grazie alla estensione del mercato di riferimento, la situazione della stampa periodica di settore appare più chiara e definita. Dopo i pionieristici “Il Disco”, bollettino discografico mensile che esce a Milano nel 1933, e il “Corriere musicale: rassegna cine-radio-fonografica” (Milano, 1935-42), il filone delle riviste dedicate in modo specifico alla musica registrataè rafforzato nei decenni successivi da pubblicazioni significative – quali la già citata “Discoteca”, “Suono stereo hi-fi” (Roma, 1971–) e
21 Alcuni titoli: il citato “Laboratorio musica” (Roma, 1979-82), “1985 - La musica. Mensile di musica contemporanea” (Roma, 1985-87), il citato “Musica e Dossier” (Firenze, 1986-93), “Hortus musicus. Trimestrale di musica antica” (Roma, 2000–). 22 Nasce nel 1945 con il titolo “Musica. Rassegna della vita musicale italiana”, nel 1946 diviene “Musica e dischi”, nel 1986 “M&D”.
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“Stereoplay” (Roma, 1972–) – che contribuiscono in modo determinante a tradurre in esperienza quotidiana quello che era un evento occasionale e ad affermare un nuovo modo di intendere e concepire l’esperienza musicale. Ulteriore e più recente evoluzione del settore – legata alla tecnologia digitale applicata alla discografia – è la proliferazione di testate con CD allegato, vale a dire di pubblicazioni che, in tutto o in parte, trovano la loro ragion d’essere nell’allegato discografico.dell’antecedente indiretto delle pubblicazioni ottocentesche con inserto musicale allegato.
Prossime a queste categorie sono poi le testate dedicate alla
tecnologia della registrazione e della riproduzione. In generale, negli ultimi anni, la preponderanza dell’aspetto tecnologico nella concezione e nella produzione della musica ha alimentato un settore che si riferisce non più solo alla registrazione e alla riproduzione del suono, ma anche alla sua creazione tout-court, e si estende a tutti gli aspetti tecnologicamente di rilievo della produzione spettacolare. Nel 1988 esce “DAC Digital Audio Club: la prima rivista di hi-fi & musica digitale” e due anni dopo “Computer Music: le macchine, il software, le applicazioni per fare musica”, entrambe a Roma. Da allora, il settore si è sviluppato in sintonia con l’evoluzione tecnologica e con la diffusione delle sue risorse. Solo nel 2005 sono uscite in Italia tre riviste di settore: “Now Making Music”, “Computer Music & Project Studio”, “Backstage. La rivista dello show business”. Il fatto che le tre testate siano pubblicate dallo stesso editoreprova di un’articolazione del mercato – sia in ragione dell’argomento specifico trattato, sia dei diversi gradi di specializzazione dei lettori – inimmaginabile fino a pochi anni or sono.
In questo senso va intesa una ulteriore categoria di
pubblicazioni che fin dai primi decenni del Novecento inizia a delinearsi: quella dedicata agli strumenti musicali, singolarmente o genericamente intesi. Si tratta di un’area intermedia, che, come si conviene a una categoria che parte da un presupposto tecnologico, tocca trasversalmente tutti i settori, senza distinzioni di genere, di
23 Alcune testate: “CD classica” (Firenze, 1987–), “Amadeus” (Milano, 1989–), “Symphonia. Tesori musicali della Radio svizzera italiana” (Bologna, 1990–), “Lyrica: opera e dintorni” (Bologna, 1994–). 24 MixxNow Publishing, di Lissone (Milano).
M. Capra: La stampa ritrovata: duecento anni di periodici musicalitarget, di livello di specializzazione.recenti, il concetto di “strumento musicale” si applica, ovviamente, anche ai prodotti della tecnologia elettronica e digitale, siano essi destinati alla registrazione e alla riproduzione sonora, o alla creazione diretta del suono. Anche sotto questo aspetto, la categoria dei periodici dedicati agli strumenti musicali è assai prossima, e per alcuni versi sovrapponibile, alle altre categorie che nella tecnologia hanno il loro fondamento.
A parte le rilevanti differenze di argomento e impostazione, le
categorie di periodici della seconda metà del Novecento esaminate finora sono indirizzate – salvo le debite eccezioni – a un novero di lettori ampio, indifferenziato, non necessarimente motivato. La relativa ampiezza del target di riferimento è sottolineata dal fatto che tali riviste siano generalmente acquistabili nelle rivendite di giornali, quindi con il presupposto necessario per un’ampia diffusione. Il contrario avviene per le riviste dedicate a un pubblico di specialisti, come sono le riviste musicologichee
25 Dalla storica “Il Pianoforte” (Torino, 1920-27), la pubblicistica che trae argomento non da un genere musicale o da un autore, ma dai presupposti materiali della pratica musicale, si evolve in una serie di testate del tutto eterogenee. Solo alcuni titoli, a mo’ di esempio: “Strumenti e musica” (Ancona, 1948–), “Il Fisarmonicista italiano” (Milano, 1948-61), “Rassegna della fisarmonica e della armonica a bocca” (Milano, 1951-56), “L’Organo” (Brescia poi Bologna, 1960–), “Pianotime” (Roma, 1983–), “Strumenti musicali” (Cinisello Balsamo poi Lissone, 1979–), “Chitarra” (Roma, 1986–), Syrinx (Roma, 1989–), “Tutto strumenti” (Roma, 1990–), “Arte organaria e organistica” (Bergamo, 1994–), “I Fiati” (Roma, 1994–). 26 Tra le riviste propriamente musicologiche più diffuse si segnalano: tra le generaliste: “Rivista italiana di musicologia”, della Società italiana di musicologia (Firenze, 1966–), “Nuova rivista musicale italiana” (Torino, 1967-95, 1997–), “Studi musicali”, dell’Accademia nazionale di S. Cecilia (Firenze, 1972–), “Musica/Realtà” (Bari poi Milano poi Modena poi Lucca, 1980–), “Musica e storia”, della Fondazione Ugo e Olga Levi (Venezia, 1993–), “Il Saggiatore musicale”, dell’associazione culturale omonima (Firenze, 1994–); tra le specializzate: “Recercare: rivista per lo studio e la pratica della musica antica” (Lucca, 1989–), “Sonus: materiali per la musica contemporanea” (Potenza, 1989–); “Polifonie”, della Fondazione Guido d’Arezzo (Arezzo, 2001–); “Bollettino del Centro rossiniano di studi”, della Fondazione Rossini (Pesaro, 1955-60, 1967-75, 1977–), “Studi verdiani”, dell’Istituto nazionale di studi verdiani (Parma, 1982–); “Etnomusicologia” (Roma, 1978–), “Culture musicali”, della Società Italiana di Etnomusicologia (Milano poi Firenze, 1982-89, 1990–), “EM. Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia nazionale di S. Cecilia” (Lucca, 1993–); “L’Organo” (Brescia, 1960-66; Bologna, 1967–); “Le Fonti musicali in Italia” poi “Le Fonti musicali italiane” (Roma, 1987-93, 1996–).
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pubblicazioni è testimoniata dal loro grado di reperibilità: nessuna si trova, salvo errore, nelle normali rivendite di giornali; pochissime sono distribuite nelle librerie; quasi tutte sono acquistabili direttamente presso l’editore o l’istituzione referente, tramite abbonamento annuale. La circostanza presuppone che tali periodici si indirizzino a lettori già informati della loro esistenza e delle loro caratteristiche, e tanto motivati da sottoscriverne l’abbonamento per un anno. La struttura e l’impostazione di queste riviste si adatta prefettamente all’esclusività dell’offerta e della fruizione. Si tratta di libri, di formato generalmente in 16°: quindi di pubblicazioni che presuppongono una lettura non casuale, né distratta; che non esauriscono la loro funzione nello spazio di tempo che le separa dall’uscita del numero successivo; che sono fatte, anche strutturalmente, per durare nel tempo. Per questi caratteri, le riviste specialistiche odierne non differiscono troppo da quelle nate nei primi decenni del Novecento. A differenza di quelle, invece, le riviste di oggi tendono – nella maggioranza dei casi – a specializzarsi su argomenti ben definiti. Infatti, eccetto quelle che si connotano come “generaliste”, vale a dire aperte a tutti gli argomenti di pertinenza musicologica, molte riviste restringono il loro campo a un determinato oggetto: un singolo compositore, un ambito cronologico, un genere, una peculiarità geografica, un particolare approccio musicologico. Questa stessa tendenza, come già anticipato, è seguita da buona parte delle riviste musicali in senso lato: a fronte di un pubblico di lettori potenzialmente assai più vasto che in passato, la strategia di marketing prediletta è quella della selezione di una specifica nicchia di mercato. Questa tendenza alla parcellizzazione dell’offerta, che è il presupposto necessario alla sussistenza di tante testate attuali, è anche la causa della loro rapida obsolescenza. Se si eccettua il caso particolare delle riviste musicologiche, che, come si è argomentato, hanno caratteristiche proprie, si direbbe che, in tal modo, molte delle pubblicazioni a stampa più recenti soffrano dell’estrema transitorietà che è propria delle testate on-line, ma senza averne i requisiti di duttilità ed economicità. In entrambi i casi, comunque, o per carenza di conservazione o per la natura effimera del mezzo, la questione legata alla salvaguardia della memoria storica delle esperienze musicali del nostro tempo è di tale rilevanza che l’istituto di ricerca specifico, il Centro Internazionale di Ricerca sui Periodici Musicali
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(CIRPeM), ha deciso di ampliare la sua competenza dall’originario ambito sette-ottocentesco a quello novecentesco, fino a quello contemporaneo.
Altra caratteristica del nostro tempo, anche se ampiamente
annunciata fin dagli albori della stampa periodica di interesse musicale, è la funzione esclusivamente promozionale cui è dedicato un gran numero di testate che sono diretta espressione di realtà produttive e associative. Editori, teatri, orchestre, manifestazioni e associazioni consegnano a pubblicazioni periodiche – in genere gratuite, anche se spesso formalmente acquistabili tramite abbonamento annuale, diffuse per corrispondenza, di ardua quantificazione – il bollettino aggiornato delle loro attività. A dispetto dell’intento apertamente reclamistico e della natura effimera, si tratta di pubblicazioni potenzialmente informative e non prive di aspetti storicamente rilevanti, essendo comunque l’espressione tangibile di realtà che altrimenti, molto spesso, non lascerebbero traccia di sé. Queste pubblicazioni rappresentano, con tutta evidenza e in modo esemplare, un carattere che, in realtà, è comune e diffuso. Si tratta, a ben vedere, del coronamento di quel concetto di informazione che già nella prima metà dell’Ottocento riconosceva nella réclame il segno del progresso: “L’annunzio, primogenito della stampa, non ha potuto esistere senza sua madre. L’annunzio è il fratello bastardo della pubblicità; e sostiene da sé solo, nuovo Sansone, il tempio delle istituzioni moderne”,“La Fama” di Milano, che, già nel titolo e nella dichiarazione d’intenti, recava i presagi dell’evoluzione futura:
La fama e la fame producono il giornalismo. [.] Gridino pure contro i giornali gli inerti e gli operosi, i dotti e gli ignoranti: senza di loro gli uni non avrebbero onde passare [.] la noia delle ore, e argomento a maldicenza; gli altri non otterrebbero subita riputazione e gloria. [.] È vero che molte opere di poco merito salgono presto in credito, perché i giornali per mille cause, e prima la fame, le gridarono appena nate e le spacciarono per buone: vi è male? Il tempo le rimette a posto, ma intanto gli autori vivacchiano alla meglio, perché ebbero agio a scacciare la fame
27 Degli annunzii e dei loro rapporti con le belle arti, il commercio e l’incivilimento,“La Fama”, I, 1836, n. 12, 27 gennaio, pp. 45-46. 28 Proemio, “La Fama”, I, 1836, n. 1, 1 gennaio, pp. 1-2.
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Già in precedenza ho accennato alla questione del grado di
attendibilità delle pubblicazioni periodiche, con particolare riferimento a quelle direttamente legate a interessi economici attivi nello stesso settore. Non è questa la sede per dimostare quanto illusorio e mistificante sia il concetto dell’oggettività dell’informazione: basti solo rilevare come ogni atto non possa che essere l’espressione del suo autore, quindi, irrimediabilmente soggettivo. È l’indicazione che uno dei padri della storiografia contemporanea, Jacques Le Goff, ci suggerisce quando afferma, con il gusto della provocazione, la natura “menzognera” di ogni documcazioni periodiche – siano esse formalmente indipendenti o esplicitamente legate a interessi esterni – non differiscono per nulla dalle altre fonti documentarie.
29 «Il documento non è innocuo. È il risultato prima di tutto di un montaggio, conscio o inconscio, della storia, dell’epoca, della società che l’hanno prodotto, ma anche delle epoche successive durante le quali ha continuato a vivere, magari dimenticato, durante le quali ha continuato a essere manipolato, magari dal silenzio. Il documento è una cosa che resta, che dura e la testimonianza, l’insegnamento (per richiamarne l’etimologia) che reca devono essere in primo luogo analizzati demistificandone il significato apparente. Il documento è monumento. È il risultato compiuto dalle società storiche per imporre al futuro – volenti o nolenti – quella data immagine di se stesse. Al limite, non esiste un documento-verità. Ogni documento è menzogna. [.] Infine, tenuto conto del fatto che ogni documento è nello stesso tempo vero e falso, si tratta di metterne in luce le condizioni di produzione, e di mostrare in quale misura sia strumento di un potere.» (JACQUES LE GOFF, «Documento/monumento», in Enciclopedia Einaudi, vol. V, Torino, Einaudi, 1978, pp. 38-48: 46, 48).
Kraut der Unsterblichkeit (Gynostemma pentaphylum) Andere Namen: Xiancao in China, Amachazuru in Japan. Über diese Pflanze wurde schon 1400 n. Christus berichtet. Sie gehört zu den Pflanzen in der traditionellen chinesischen Medizin. In Südchina wird dieses Kraut täglich als Tee getrunken und die Anzahl der Menschen in der Region Guizhou, die dort über 100 Jahre alt werden, ist überdurc
LAZARD LTD REPORTS SECOND-QUARTER AND FIRST-HALF 2013 RESULTS Highlights • Net income per share, as adjusted1, of $0.45 (diluted) for the quarter ended June 30, 2013, excluding charge2, compared to $0.25 for the second quarter of 2012 • Record second-quarter operating revenue1 of $511 million, up 12% from second-quarter 2012; first-half operating revenue of $925 mi