News > Italia > Politica - Martedì 11 Giugno 2013, 11:00
Big Pharma e il lobbying farmaceuticoMaria Cristina Antonucci
Nel corso del 2013 la , l’associazione che raggruppa le principali multinazionali farmaceutiche statunitensi, ha impiegato oltre 5 milioni di dollari in attività di lobbying. In questo modo,'Big Pharma', etichetta poco lusinghiera per l’associazione di categoria che raggruppa i principali attori del settore della ricerca e produzione farmaceutica, si colloca al sesto posto della speciale classifica delle lobby con maggiore capacità di investimento realizzata dal think tank americano che opera a favore della trasparenza nella rappresentanza degli interessi economici. La rilevanza della attività di lobbying delle grandi imprese farmaceutiche non appare come un dato sorprendente: considerata la rilevanza sociale della salute pubblica come una delle finalità tradizionalmente assunte su di sé da ogni Stato, il settore medico e farmaceutico costituiscono alcuni degli ambiti di politiche pubbliche più assoggettati alla attività di regolazione da parte del legislatore. Laddove ci sono regole collettive in materia di salute poste dal decisore pubblico, lì il lobbista di Big Pharma deve svolgere la propria attività di rappresentanza degli interessi economici. Come mostra il volume di l’interesse delle compagnie farmaceutiche nella determinazione dei contenuti delle politiche sanitarie è meglio organizzato e più focalizzato al risultato rispetto agli interessi dei gruppi di pazienti e degli operatori della sanità. Afferma Law, identificando la prevalenza dell’interesse economico delle grandi imprese farmaceutiche sul diritto alla salute: «Sostenere che vi sia una relazione diretta tra gli sforzi dell’industria farmaceutica e la salute pubblica è davvero ingenuo»
In questo senso, all’interno del mercato globale del farmaco, le grandi imprese farmaceutiche' di svolgere ricerca su malattiespecifiche, ad elevato tasso di allarme sociale, al fine di vendere, con ampi margini di profitto,rimedi farmacologici brevettati in via esclusiva e di mantenere troppo elevati i prezzi di ognicategoria di farmaco venduta. Parallelamente, esiste tutto un settore di malattie in cui la ricercadi rimedi farmacologici viene negletta, a causa della maggiore e più duratura possibilità diottenere ricavi da cure palliative e dal mixaggio di risposte farmacologiche differenti. Jay Cohen
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale reperibile al link http://www.lindro.it/politica/2013-06-11/86229-big-pharma-e-il-lobbying-farmaceutico
L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.
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nel volume come mai esplodeva il successo per farmaci per la terapia di malattie socialmente diffuse in Occidente, come l’impotenza maschile o la depressione con i due best seller Viagra e Prozac, mentre la ricerca per una risposta unitaria a tumori e AIDS non veniva finanziata con la stessa intensitàda parte di Big Pharma.
A fronte di una stampa, di una produzione editoriale e di una opinione pubblica così orientata nei confronti dell’operato delle multinazionali del farmaco, c’è da ritenere che una parte del cospicuo budget dedicato da Big Pharma nel 2013 alla rappresentanza dei propri interessi sia stato destinato anche in azioni di lobbying indiretto, come campagne stampa, finanziamento di comunicazione sociale, coinvolgimento di gruppi di pazienti e di operatori del settore sanitario, diffusione di ricerche, dati e informazioni. In sostanza, si tratta di modalità indirette di promozione del proprio interesse, rivolte a promuovere una nuova, migliore immagine sociale della ricerca farmaceutica in un settore più ampio rispetto al novero ristretto dei soggetti decisionali pubblici. In un sistema di sanità privatistica come quello degli USA, convincere i consumatori finali privati dell’efficacia dell’intero sistema produttivo della ricerca farmaceutica è fondamentale per mantenere alti i ricavi e per difendere il settore dagli attacchi di forme alternative di terapia (farmaci generici, omeopatia, naturopatia, rimedi davvero di nicchia nel mercato americano del farmaco). E in Italia?La situazione per la rappresentanza degli interessi si è presentata ottimale per le imprese produttrici di farmaci fino alla rottura della tenuta economica del sistema sanitario nazionale, nella prima metà degli anni 2000 e fino alla sostanziale devoluzione di importanti competenze in materia di salute pubblica dallo Stato alla Unione Europea da un lato e dallo Stato alle Regioni dall’altro. Elevati ricavi determinati dal sostegno pubblico alla spesa farmaceutica, assenza di un tetto massimo di spesa per farmaci per le strutture ospedaliere, importante capacità di presidio del farmaco, rappresentata da una capillarità delle strutture di medicina pubblica e dalla forza corporativa dell’ordine dei farmacisti, e una composizione demografica orientata all’invecchiamento della popolazione garantivano una tenuta sostanziale dei ricavi delle imprese di Big Pharma in Italia. La situazione è cambiata profondamente quando, dopo il 2005 la spesa farmaceutica, nelle sue due componenti territoriale ed ospedaliera, ha trovato un argine al sostengo pubblico mediante criteri di programmazione del tetto massimo (per gli ospedali) e di vincoli alla piena rimborsabilità dei farmaci (per i privati). Un ulteriore intervento preoccupante per i grandi produttori di farmaci griffati si è verificato nel 2012, quando il sistema dei tagli al settore della sanità ha previsto il primario ricorso nella prescrizione da parte dei medici di famiglia, di medicinali di tipo generico, richiamati nella ricetta esclusivamente con riferimento al principio attivo. Alle difficoltà strutturali dovute ad una contrazione del sostegno pubblico all’acquisto dei farmaci, si aggiunge un quadro per la rappresentanza degli interessi complesso dal punto di vista istituzionale. Le difficoltà dell’azione di lobbying nel settore farmaceutico per le imprese multinazionali presenti sul mercato italiano sono complicate dal peculiare assetto regolativo nazionale. Se negli USA l’attività di lobbying si svolge nei confronti della , unica agenzia regolativa, in Italia c’è una molteplicità di soggetti coinvolti nelle questioni farmaceutiche: l’regolativa del farmaco, l’ , Consiglio
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Superiore di Sanità, organo consultivo del Ministro per la Salute, dotato di competenze tecnico- scientifiche in materia di farmaci nella Sezione V. E poi ci sono altri soggetti sub statali ma ugualmente decisivi per gli aspetti gestionali in grado di provocare volumi di vendita dei farmaci. In primo luogo, le Regioni, titolari di competenze di gestione della spesa sanitaria in virtù della riforma del titolo V della Costituzione del 2001 e dei successivi interventi in materia di spesa sanitaria regionale delle leggi finanziarie. Ci sono le ASL e gli Istituti di ricovero, soggetti attivi della spesa per farmaci nelle strutture pubbliche. E ci sono i consumatori, sempre più spesso consapevoli e organizzati nell’acquisto e nel consumo di prodotti farmaceutici, grazie anche alla crescita delle organizzazioni a supporto dei consumatori e dei pazienti.
Insomma, una lunga serie di provvedimenti volti a tagliare la spesa farmaceutica, una pluralità di soggetti istituzionali, nazionali e regionali, attivi a vario titolo nelle policy sanitarie e una maggiore attenzione dei consumatori alla spesa farmaceutica non griffata e verso terapie alternative sembrano aver trasformato l’Italia dal paradiso di Big Pharma ad un campo di battaglia in cui ASL, organizzazioni di pazienti e opinione pubblica combattono attivamente lo strapotere delle imprese produttrici globali di rimedi farmaceutici. E, in un eterno ritorno, si ripropone così con maggiore forza l’esigenza di praticare una costante attività di lobbying verso tutti i soggetti istituzionali della sanità italiana, per mantenere Big Pharma 'Big'.
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