Prospettive del trattato Libia-Italia
Il 3 febbraio è stato definitivamente approvato il disegno di legge che autorizza la ratifica del Trattato “Amicizia, partenariato e cooperazione” tra Italia e Libia, firmato a Bengasi il 30 agosto 2008. L’unica forza politica ad opporsi, al senato, sono stati i radicali; come c’era da aspettarsi, hanno fatto leva sulla solfa dei ‘diritti umani’; quei diritti umani che hanno fatto finta di non vedere durante l’assedio di Gaza. Inutile ribadire il ruolo strategico e geopolitico svolto da questa setta ‘ideologica’, cioè quello di voler orientare gli obiettivi economico-diplomatici italiani secondo il senso voluto e dettato da centri di potere statunitensi (che possono essere sia istituzioni di ‘destra’, diretti da neocon come Michael Ledeen, sia think tank di ‘sinistra’ gestiti dalla Open Society del miliardario genocida George Soros). A parte quest’ostacolo, secondario e facilmente aggirato, il trattato va avanti. La visione che sta alla base dell’accordo, da parte italiana, è ovviamente quella di assicurarsi una notevole fonte di energia. Infatti, non solo la Libia è geograficamente vicina all’Italia, comportando una spesa dei trasporti relativamente bassa, ma il petrolio estratto nel paese nordafricano ha un basso contenuto di zolfo, rendendone facile e poco costosa la raffinazione. Certo, se il nocciolo dell’accordo è l’energia, altri elementi importanti di esso, sono il risarcimento richiesto dal governo di Tripoli per il periodo dell’occupazione coloniale italiana subita dal 1921 al 1943, e il controllo dei flussi migratori dall’Africa verso l’Europa. Vi si è lamentato del fatto che i coloni italiani, cacciati all’indomani dell’avvento al potere del gruppo del Colonnello Gheddafi, non avranno risarcimenti di sorta dal governo libico. Ma gli ex-coloni furono ‘risarciti’ all’epoca dell’esodo del 1970, quando i governi italiani ammortizzarono il loro rientro in Patria (soprattutto in Sicilia), con l’adozione di leggi ad hoc, come delle quote garantite di accesso all’amministrazione pubblica o parapubblica (Banche, Enti, Scuola, ecc.). L’investimento di 5 miliardi di dollari per la costruzione o ricostruzione di opere infrastrutturale, come l’autostrada costiera libica, non solo viene elargito per assicurarsi l’indispensabile carburante per l’Italia, e ciò che resta della sua economia, ma servirà anche da volano ‘keynesiano’, per così dire, delle aziende italiane. Difatti, se l’autorità di Tripoli resta il committente delle opere, va detto che la gestione della spesa e i relativi appalti verrebbero gestiti da Roma, così come l’attuazione dei lavori sarà affidata ad aziende sempre italiane. Un modo ‘mascherato’ che lo stato italiano ha trovato per aiutare le aziende nazionali, tra l’altro, in un momento di crisi economico-finanziaria sempre più acuta. Il terzo punto importante è la gestione dei flussi migratori che, partendo dall’Africa sahariana e sub-sahariana, si volge verso l’Europa, passando per il mediterraneo e le sue porte centrali, Lampedusa, la Sicilia e l’Italia. L’Italia, per via della sua posizione geografica, s’è vista attribuire dalla Comunità Europea, assieme a Spagna e Grecia, la funzione di guardiano di Schenghen. La strada scelta da Roma però, e saggiamente, è stata quella di stabilire una collaborazione con Tripoli; in questo caso, riguardo il monitoraggio dei confini marittimi e del flusso migratorio che li attraversa; senza tuttavia dimenticare che solo meno del 10% del flusso migratorio verso l’Italia passa per questa via marittima. L’approccio collaborativo scelto dal governo Berlusconi (ma non dimentichiamoci dei premier precedenti Prodi e D’Alema), va analizzata dell’ottica dell’interesse pieno, non solo della Libia e degli altri stati rivieraschi nel Mediterraneo, ma soprattutto dell’Italia. Innanzitutto con l’acquisizione di metodologie e tecnologie italiane, da parte libica, non si farà altro che consolidare al meglio il rapporto in via d’instaurazione tra Roma e Tripoli; permettendo anche l’accrescersi della presenza italiana nel suo ambito più prossimo e naturale, appunto il Mar Mediterraneo e presso i popoli che vi si affacciano. La collaborazione e la copresenza italiana nella gestione, per quanto possibile, del flusso migratorio trans-mediterraneo, potrà essere garanzia di tutela degli standard stabiliti dalle convenzioni internazionali e in ambito delle Nazioni Unite, per quanto minimi, di trattamento dei migranti raccolti nei centri di permanenza temporanea presenti nelle due sponde del Mar Mediterraneo. Il processo avviato da Roma verso la Repubblica Arava Popolare della Jamahirya è un tassello, importante e positivo, nella ricerca di una visione diplomatica e internazionale autonoma della Repubblica Italiana. I 5 miliardi di dollari richiesti per questa iniziativa sono, in definitiva e per
quanto possano reclamare negativamente alcune frange politiche settarie ed esiziali, il miglior investimento fatto dall’Italia nell’ultimo decennio. Alessandro Lattanzio, Catania 16/02/2009
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nistration and private sector development (1986-91). World Bank, European Offi ce, Mr Jacques Santer (Chairman) Grand Cross Paris: Representative to the European Insti-of the order of Oak (Luxembourg), of order tutions (1991-96). AMFIE: Member of Super-of Aldophe of Nassau (Luxembourg), of the order of Leopold II (Belgium), of the order of Credit Union (1960-62). UNESCO (1962-90): the Leg